Marie Ndiaye

La diavolessa

 

 

 

 


 

 

Corre la diavolessa nella notte, corre alla ricerca del suo bambino. E bussa di porta in porta. E le viene aperto. E chi la vede si commuove.

Lei ha gli occhi grandi, la pelle scura, l’affanno della corsa che si confonde nel pianto della voce. A tutti chiede “avete visto il mio bambino?”

Povera donna pensa chi sta sull’uscio, in un moto di pietà, di simpatia, lei è anche così bella…Fino a quando lo sguardo non le tocca i piedi.

E’ uno scatto di fastidio, di più, d’orrore, la porta chiusa in faccia, la diavolessa gira gli zoccoletti, tip tap, tip tap; sul selciato è come passasse una povera capretta. E’ quello il segno che è una diavolessa.

Nel blu cupo della notte, ritagliata in alto sulla pagina, si stagliano le cupole di un paesaggio del sud del mondo. E tutti i simboli che ne rendono l’idea sono in collage, isolati, accostati, sovrapposti, di carta, di piume, messi in opera da  pennelli che prediligono colori forti, da forbici che cercano rappresentazioni stilizzate e parti per il tutto, in un organico disegno che porta a compimento il destino della diavolessa.

 

Mentre la diavolessa vaga nella notte (tip tap, tip tap, i suoi piedini di capretta), la gente si rinserra in casa, non vuole vederla, non vuole accoglierla, lei, pensa la gente, che è malvagia, che finge il dolore e la perdita di un figlio, per gettare il male oltre ogni soglia.

Sfinita, per sempre disperata, la diavolessa si ripromette una cosa sola. Se non il suo bambino, ormai perduto, sarà suo figlio il primo bambino che incontrerà.

E là sul limitar del bosco, proprio dopo avere formulato il suo proposito, come succede nelle fiabe e quindi pure in questa, la diavolessa vede seduto in terra, spalle voltate, inconfondibile, un bambino. Che, di faccia, con tante treccine fitte in testa, si rivela una bambina. Anche lei segnata, anche lei cacciata. Per via dei suoi piedini strani, la gente pensa che abbia a che fare con la diavolessa.

L’abbraccia forte quest’altra figlia la diavolessa, la solleva, la porta, perché quei piedini strani non la facciano dolorare ad ogni altro passo. E mentre va, la diavolessa sente il suo avanzare più leggero, non avverte più il tip tap, non si sente più con gli zoccoletti. Ma è buio, e l’attenzione è protesa ad una meta, è la voglia di un rifugio, di una casa. E, all’improvviso, dopo molto affanno dopo molto camminare, all’improvviso, è proprio come si fosse arrivati davvero a casa. Eccola. Finalmente, come l’altra, come quella dove stava con il suo bambino, forse proprio quella. L’approdo, la fine delle tribolazioni.

La diavolessa depone la bambina a letto, poi struscia i piedi sul parquet. Piedi snelli e bruni e giovani. Piedi perduti nella perdita di un figlio; piedi ritrovati nell’arrivo della sua bambina. 

 

Marie Ndiaye
La diavolessa
Traduzione di Francesca Lazzarato
Illustrazioni di Fabian Negrin
Mondadori (Junior-8), 2002, p.46, € 5,20
ISBN 88-04-50211-8
 

                                                   

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ideazione, titoli e testi di Rosella Picech
realizzazione grafica di Lena Chiodaroli

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