Mito e poesia nel
Grande cavallo
Grande, mitico, il
cavallo. Da sembrare il dono di un dio benigno e generoso, non
l’infausto inganno escogitato dal demone Setoth,
ai danni degli Ukatan, come sostiene lo stregone.
In una prateria senza
date e senza tempo, che assomiglia ai luoghi leggendari degli indiani e
dei cow-boy, Piumini sistema il suo racconto, radunandogli in grembo
prodigi di poesia e di fiaba.
Si staglia con il suo
profilo contro la montagna, all’alba, con il sole caldo, nel buio della
notte, la sagoma abnorme del puledro Iuko, che supera ogni misura quando
diventa adulto, suscitando amore nei bambini, sospetto nei cacciatori e
nel capo della piccola tribł, odio convinto e esagerato nello stregone
che invoca la sua morte.
Come se stesse
raccontando davvero la storia degli indiani, l’autore dą conto della
vita quotidiana del villaggio, dove si sono sistemati in modo provvisorio
gli Ukatan, che migrano seguendo il flusso degli spostamenti dei bisonti.
Agli uomini adulti il compito di procacciare il cibo, ai bambini e alle
donne la cura delle tende, la cucina, gli animali. Tocca ai ragazzini, in
gerarchia d’etą, in attesa del segno che li confermerą virili,
accudire i puledri, aspettando il tempo giusto della monta.
Uteh il ragazzo, Kuti il
bambino, emergono dal gruppo di coetanei che fanno ala alla crescita di
Iuko. Con l’aiuto del ragazzo, il bambino innamorato del cavallo si issa
sulla groppa alta, s’abbarbica alla criniera, diventa tutt’uno con
l’animale. Cavallo e cavaliere. Poi tocca a Uteh. Prima che la tribł
intera possa saggiare quell’ ampia sella, calda e viva, zattera di
salvezza nell’ora del pericolo che incombe.
Fine conoscitore dei
sentimenti che s’agitano nel cuore degli umani, Piumini sceglie. Fa
fiorire i suoi bambini puri e appassionati; rende temperati i cacciatori;
infonde saggezza e astuzia nell’Ulisse che guida la piccola tribł; non
s’arrende all’odio che divora lo stregone e alla tentata vendetta che
ne segue. Nell’ombra rimangono le donne.
Lo stregone Ataka decreta
la fine del grande cavallo: Iuko a morte, come le streghe. Iuko č
invasato dal demone, dice; Iuko č maligno; Iuko sarą la rovina della
tribł. Ataka mente, Ataka si vendica: il cavallo non l’ha voluto suo
cavaliere. E contro il fianco possente dell’animale si sono infranti
sogni a lungo covati, di grandezza e di gloria. Ma i bambini amano Iuko.
Ci provano. Insistono. Tentano. Il saggio Ehč dą retta alla fede
infantile. Iuko č salvo. Ataka abbandona il villaggio.
E cosģ si apre un altro
capitolo che spalanca licenze poetiche su una epopea delle pił celebrate.
Con lo stregone che fugge, in cerca della sua personale vendetta, arrivano
i bianchi.
Gli “uomini barbuti”
hanno whisky e fucili. Queste le armi, di baratto e di offesa. Per
muoversi nella prateria, per loschi commerci, sono scortati dai
fuoriusciti dei villaggi, nativi che hanno tradito la causa, e ambiscono
all’unica ricompensa di una bottiglia. E’ presso di loro che arriva lo
stregone Ataka, ed č a loro che affida la sua rivalsa.
In fila indiana, i nativi
avanti, gli “Uomini Barbuti” dietro, procede la carovana alla ricerca
del grande cavallo. I bianchi che hanno le pance piene, vogliono le tasche
gonfie. Per questo sognano la cattura della bestia da vendere come
fenomeno al circo che li ricompenserą.
E s’arriva al dunque.
Si scoprono le carte. Chi sta con chi. Con la natura, in armonia con i
ritmi e le leggi che regolano la vita della prateria, gli Ukatan; all’arrembaggio,
costi quel che costi, tradire calpestare uccidere, per possedere, avere
soldi, nella migliore delle tradizioni, l’ambizione che mobilita ogni
energia dell’uomo bianco.
Accertati i caratteri, si
passa poi all’impresa. Epica, grandiosa, evocativa. Un cavallo enorme,
uno stratega, gente da portare in salvo, un nemico in agguato. Ulisse ha
lasciato Troia, non cerca la guerra ma solo la pace e la libertą.
Il mito
porge il suo soccorso, la fiaba dilata i suoi confini, il genere
s’ascrive all’avventura, la poesia presiede. La pagina č perfetta. (r.p.)
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