Teresa Buongiorno
Io e Sara, Roma
1944
Lei, l’anellino d’oro, a forma di serpente con gli occhi di
rubino, alla Patria non l’aveva dato. Con il consenso di mamma e
di papà, una volta tanto uniti, se lo teneva stretto.
Certo, c’era sempre il cruccio della divisa da piccola italiana,
negata in casa con la scusa che non andando alla scuola pubblica
era esonerata dalle adunate del sabato fascista. E poi c’erano
anche gli altri pensieri non troppo spensierati di non avere
amici, di non stare coi bambini, di studiare a casa, di non
andare ai giardinetti. E poi ancora. Quando si ritrovarono,
loro, lei, papà, mamma, il fratello Gianni, con i Palon Palazzi
(come sono diversi i genitori e le famiglie e a lei piacevano i
Palon Palazzi, tutti, in special modo Sara) neanche al Monopoli
volevano a momenti che giocasse, immaginarsi andare in
bicicletta! Una serie di no su tutta la linea, quella che più
l’intrigava. Andare, incontrarsi, sapere, conoscere. Che rabbia!
E quel parlottare, quel mezzo dire di mamma e di papà, e quel
tacere, tacere sempre, scantonando dalla domanda suscitata, per
esempio, cosa vuol dire la parola ebreo.
In una grande casa, con un grande giardino, in una Roma di anni
cruciali per la nostra storia (il fascismo, la guerra, la caduta
del fascismo, la Liberazione) cresce la bambina (Isabella detta
Isa Osa) protagonista di questo romanzo, raccontato in prima
persona. Al vaglio del suo sguardo non sfuggono i sotterfugi di
famiglia, i caratteri, i tic (la mamma un po' snob, il babbo
amatissimo, la nonna che è uguale a lei, il fratello pungente) e
neppure ciò che accade attorno. Un’epoca si riapre per il
lettore.
Rispolverata di giorno in giorno, la storia ridiventa
storia di uomini, donne e soprattutto di bambini che vivevano
allora, in quegli anni. E quegli anni connotati nel costume, nei
riti, nella politica espansionistica, nella rincorsa al disastro
della guerra e al riscatto della Liberazione, sono tutti
annotati con impareggiabile acume infantile. Dai giochi (giocare
alla guerra d’Africa e Spagna), alle divise (il fratello Gianni,
sì che l’ebbe la divisa da balilla!), dalle collezioni di
figurine e immaginette al “catechismo” di Libro e moschetto, con
il Duce al posto del buon Dio, per finire in braccio alla mania
di “siamo grandi come gli antichi romani e facciamo tutto da
noi”, istigando persino i bambini ad allevare il baco da seta
(vedere, vedere l’incidente di Isa col baco). E poi la tessera
annonaria, la fame, la borsa nera, i rifugi, le bombe e i
segreti di tutti e la paura di tutti.
C’è una naturale freschezza di stile nella storica (Teresa
Buongiorno, giornalista e scrittrice) che scrive questo libro
per ragazzi, rievocando tempi da lei vissuti, tempi eroici, come
sono i tempi di tutte le infanzie, ma che nel romanzo diventano
tempi particolarmente avventurosi, come si conviene ai classici
di genere (la fuga dalla siepe del giardino per raggiungere il
mondo : la scuola, i giardinetti, la casa dei Palon Palazzi,
luoghi di delizie dove c’erano bambini) e i tempi bui, che qui
trapelano nel momento quotidiano. Crescere di nascosto, come si
cresce sempre. Crescere di nascosto per vivere e capire.
Illustrazioni in bianco e nero di Desideria Guicciardini, a
identificare i luoghi dove maggiormente s’accendono l’arguzia e
l’ironia della scrittura di Buongiono e un' appendice, puntuale
e opportuna, di Luciano Tas ("1935 – 1945: i dieci anni che
sconvolsero l’Italia") completano il romanzo.
Bello leggerlo da soli, importante interrogare gli adulti, che
per favore, questa volta rispondano, servendosi magari anche
delle note a disposizione.
Teresa Buongiorno, Io e Sara, Roma 1944, illustrazioni di
Desideria Guicciardini, postfazione di Luciano Tas, Piemme ("Il
Battello a vapore"),
2003, p.56, € 7,50. ISBN 88-384-3665-7
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