Interviste

  
Da Gl’Istrici a Lettori si diventa

Una
conversazione con Luigi Spagnol
di Rosella Picech


Partendo da “Lettori si diventa”, campagna
Salani di promozione alla lettura si è ritornati al libro per ragazzi nell’Italia dei  tempi d’oro -fine anni Ottanta, inizio Novanta: le scelte di allora e i cambiamenti intervenuti  successivamente.
L’analisi dell’editore si dipana, e gradualmente emerge il suo giudizio.

Che cosa gli piaceva leggere quand’era ragazzino? “Sàlgari” e non Salgàri come sa che si dice. Per lui, l’intrepido immaginatore di tante imprese avventurose è rimasto: “Sàlgari”, come nell’infanzia.
Luigi Spagnol lo pronuncia alla sua maniera, sfidando accenti e saccenti correzioni, al convegno “Lettori si diventa”, che si è tenuto di recente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, organizzato da Salani, Università Cattolica e Fondazione Mondadori.
E si chiama proprio così “Lettori si diventa”, la campagna di promozione alla lettura lanciata in quell’occasione da Luigi Spagnol, editore e presidente di Salani, con l’intento di coinvolgere i bambini e i ragazzi di quella che una volta si chiamava “scuola dell’obbligo”. 
Scuola e scolari. Questi i soggetti prescelti su cui intervenire. Non sono comunque esclusi i genitori, che cliccando sul bottone adatto di
“lettori si diventa” (http://www.lettorisidiventa.com/) potranno anch'essi scaricare gratuitamente ”il gioco”, quasi un “mastermind”, in cui il lettore misurerà la sua abilità dopo aver letto uno o più libri dei “magnifici 12” che la casa editrice ha scelto dal proprio catalogo: Roald Dahl, La fabbrica di cioccolato; Luis Sepúlveda, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare; Astrid Lindgren, Pippi Calzelunghe; Daniel Pennac, L’occhio del lupo; Jostein Gaarder, C’è nessuno?; David Almond, Skellig; Roddy Doyle, Il trattamento ridarelli; Silvana Gandolfi, L’isola del tempo perso; Jacqueline Kelly, L’evoluzione di Calpurnia; Van Loon Paul, L’autobus del brivido; Michael Ende, La storia infinita; Uri Orlev, L’isola in via degli uccelli).
Partire dall’iniziativa di “Lettori si diventa”, nella conversazione intavolata con Luigi Spagnol, ha innescato una sorta di “meccanismo del ricordo”, che ha fatto rievocare il libro per ragazzi nell’Italia dei  tempi d’oro  - fine anni Ottanta, inizio Novanta: le scelte di allora e i cambiamenti intervenuti successivamente. L’analisi dell’editore si dipana e gradualmente emerge il suo giudizio.

R.P. Con il recente convegno "Lettori si diventa" che si è tenuto in Cattolica, la Salani di cui sei editore e presidente, ha inaugurato una campagna di promozione della lettura fra i bambini delle scuole elementari e medie ispirandosi a un grande nume tutelare della casa editrice, quel Roald Dahl, capofila degli Istrici, collana Salani, che ha segnato una svolta decisiva nel libro per bambini alla fine degli anni Ottanta, che così diceva:”
«se riesci a far innamorare i bambini di un libro, o due, o tre, cominceranno a pensare che leggere è un divertimento. Così, forse, da grandi diventeranno dei lettori. E leggere è uno dei piaceri e uno degli strumenti più grandi della nostra vita».
Di che si tratta?

L.S. Il nostro è un progetto abbastanza minimal. Un sasso lanciato nello stagno. L’abbiamo fatto da soli: e questo per forza di cose ne riduce in qualche modo la portata. Da soli e solo con i nostri libri. Un elenco di soli 12 titoli comporta delle scelte difficili.
Volendo, avremmo potuto sceglierne 12 solo di Dahl, oppure mi sarebbe piaciuto annoverare nel pacchetto anche altri libri che non abbiamo fatto noi ma quest’altra decisione avrebbe comportato il coinvolgimento di altri editori. Oltre a intuibili problemi di coordinamento, ogni editore avrebbe voluto proporre almeno un suo libro. E francamente non so se ci siano in Italia 12 editori che abbiano un libro a livello dei 12. Almeno, a me non pare.
 

- E’ questo che vi ha fatto decidere di fare da soli?

In parte sì. Ma abbiamo avvertito soprattutto l'urgenza di partire e di far sapere questo: che fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 si è dedicata molta energia – degli editori, del mercato, dei librai – alla letteratura per bambini in Italia, per la prima volta dopo tanti anni. Poi abbiamo smesso: ma questo non è il momento di smettere, è il momento di andare avanti.
 

- Quel tempo è stato come un rinascimento. L’uscita dei vostri Istrici, degli Junior Mondadori, dei libri della EL, del Battello a vapore, dei Delfini Bompiani..., una convergenza felice, centrata sul tascabile. Un periodo davvero fecondo. Ma perché, secondo te: c’erano delle condizioni particolari? 

Probabilmente sì. L’Italia era molto arretrata rispetto ad altri paesi europei, il gap è stato riempito tutto in una volta. Proviamo a rifare una breve storia. All’apparire di quei nuovi libri, c’è stata una reazione contraria di  una parte del mercato. Le nonne, che tradizionalmente regalavano i libri, richiedevano delle ricche edizioni illustrate e non dei tascabili per i nipoti. Ma i bambini, che forse nel frattempo si erano evoluti, e avevano più voce in capitolo, se gli mettevano fra le mani Oliver Twist magari non lo leggevano, però leggevano Dahl, e il libro successivo lo richiedevano "uguale a quello". Forse, c’entrava anche il fatto che a comprare libri per bambini era una generazione che veniva dal ’68, e aveva una visione un po’ diversa del leggere e di altre cose.

Nella scuola è stato lo stesso. Abbiamo scoperto che c’era una nutrita schiera di insegnanti che proponeva dei libri ai bambini, ed erano insegnanti interessati a vedere, a capire se questi libri piacessero davvero ai bambini oppure no. Mentre prima eravamo abituati a insegnanti che "assegnavano" dei libri da leggere e quelli dovevano essere, piacessero o no. Era come se dicessero: so io quello che va bene per te, ed è quello che ho letto io da bambino.

- Un grande cambiamento questo descritto, e non solo per il libro italiano dell’infanzia …

Sì, però poi è cominciata un’altra fase. L’idea di fare delle collane omogenee, perché il bambino, letto un libro, ne chiede un altro della stessa collana – come è accaduto per Gl’Istrici, o il Battello a vapore o tutti gli altri – e quindi il genitore, il libraio, il bibliotecario si fidano di quella collana e le si affidano, è un’idea in qualche modo immatura. Lascia all’editore la scelta, diciamo pure il potere. In altri paesi, dove i bambini leggono di più, questo non avviene. C’è una rete che è in grado di scegliere i buoni libri indipendentemente dagli editori. Qualcuno li legge, i giudizi e i consigli circolano. L’evoluzione dunque, che noi di Salani abbiamo cercato di assecondare e di incoraggiare, è stata il superamento della collana. E abbiamo puntato molto sui “fuori collana”. Mentre a fare le collane eravamo in tanti, a fare i fuori collana siamo stati fra i pochi. Anche con ottimi risultati.

- Qualche esempio?

La Gabbianella era fuori collana. L’uomo che piantava gli alberi pure. L’uomo che sapeva contare, L’Isola in via degli Uccelli  erano fuori collana. E Harry Potter era fuori collana. Avere dei fuori collana è stato ciò che ci ha permesso di prendere Harry Potter.  Altri editori, se l’avessero preso, lo avrebbero magari incanalato in una collana. Gallimard lo ha fatto. Faccio un altro esempio: abbiamo preso Pennac per bambini perché Feltrinelli non aveva libri per bambini. Non avrebbe avuto dove mettere L’occhio del lupo. Mentre Fatucci quando le è capitato di avere un Pennac, ha creato una collana per mettercelo dentro. Ancora adesso mi pare che molti editori ragionino così.

- Diventa quasi una “teoria” la sistemazione fuori collana…

Come dicevo, io penso che il superamento della collana sia una maturazione del mercato, l’evoluzione verso un mercato più consapevole. E questo a un certo punto è cominciato ad accadere. Dalle collane si è arrivati a mettere in luce singoli autori – metti il caso di Dahl – e il lettore sceglieva di andare avanti a leggere quell’autore. O sceglieva singoli titoli di quell’autore, sulla base di una valutazione qualitativa, senza bisogno di averci attorno la collana, la serie, diciamo il marchio. Ultimamente invece siamo tornati indietro anche rispetto alla collana: il mercato vuole solo la serie. Intendiamoci, non ho nulla contro la serie. E’ una forma letteraria che è esistita nei secoli e ha prodotto delle cose bellissime. A me piacciono, da bambino leggevo Il dottor Dolittle che è una serie. La serie ha due dimensioni, quella verticale – la vicenda che si esaurisce in un libro – e quella orizzontale, la vicenda che va avanti da un libro all’altro. Quando questa vicenda orizzontale è avvincente, o è avvincente il mondo che sta nei libri, c’è il gioco dell’attesa fra un libro e l’altro. Che diventa un’ulteriore vicenda: quella del lettore. E’ successo in modo esponenziale per Harry Potter ma è sempre così. Non ho dunque nulla contro la serie.
Ma se il mercato si rivolge esclusivamente alla serie perché, diciamo, così non c’è più bisogno di pensare – se un libro ha successo e ne dò al lettore il secondo e poi il terzo e così via – allora questo è un passo indietro. Si cade tutti – genitori, insegnanti, librai, bibliotecari – in una sorta di pigrizia intellettuale. Non mi piace. Tutti costoro devono essere attori attivi del mercato, non delegare ogni scelta all’editore.
 

- Però anche la vostra scelta dei 12 libri è comunque una scelta editoriale. E a questo proposito, perché avete scelto come destinatari i bambini di una fascia di età compresa fra la seconda infanzia e l’adolescenza?

Perché è necessario lavorare con la scuola, e ho un debito di riconoscenza con Daniela Bonanzinga, una libraia di Messina, che è stata premiata alla Scuola dei librai di Venezia, per avermelo fatto comprendere con il suo progetto di “libreria che incontra la scuola". Il mondo della scuola diventa partner ufficiale della Libreria Bonanzinga in un’attività mirata a potenziare il libero rapporto tra i giovani e la lettura. In particolare mi ha colpito il lavoro che consiste nell’acquistare 5-700 copie di un libro, lavorarci per mesi a scuola, al termine dei lavori la libraia invita l’autore a parlare davanti a centinaia o migliaia di bambini che hanno letto il suo libro: i bambini  interrogano l’autore, e “mettono in scena” il libro.
Voglio sottolineare che la scuola ha un sacco di difetti, e li conosciamo. Ma non c’è altro. La scuola è l’unica istituzione che in Italia si occupa dei ragazzi. Non è sostituibile. Con la scuola bisogna lavorare. Starne fuori e limitarsi a criticarla, non serve a niente.
Naturalmente il nostro raccordo con la scuola è un tentativo, per ora è poco più di un pulsante sul nostro sito. Per lavorare organicamente con la scuola bisognerebbe avere delle strutture che non abbiamo. Però proviamo, vediamo come va.
Ovviamente per noi è anche un’operazione commerciale: siamo commercianti. Di questi 12 libri ne abbiamo mandati in libreria 40.000 copie: se non ci fosse stata questa operazione, ne avremmo mandati 10 volte di meno.


- Avete compreso nell’iniziativa anche e-books? E che cosa ne pensi in generale? 

Non abbiamo messo e-books perché di alcuni non abbiamo i diritti. Ma su questo argomento ho qualche perplessità. Si parla tanto di “nativi digitali” ma – nella mia limitatissima esperienza personale – non conosco un solo “nativo digitale” che abbia letto un e-book. Fanno tutto al computer, tranne leggere libri. Il libro se lo comprano. 

- In sintesi, qual è oggi lo stato dell’editoria per ragazzi in Italia?

In sintesi, c’è bisogno che i ragazzi leggano di più e leggano "meglio". Io parto dal presupposto che il mercato ha ragione, nel senso che se un libro o una serie o un progetto vendono bene, vuol dire che hanno delle qualità. “Meglio” dunque non vuol dire che i libri che si vendono non siano buoni. Però occorre allargare il mercato. Oggi in realtà è costituito da tre o quattro cose che stanno in televisione, o al cinema. Noi stessi stiamo vendendo Harry Potter quest’anno meglio dell’anno scorso, perché i suoi film sono passati su Sky. Se guardi le classifiche dei libri per ragazzi, 8 su 10 sono sempre gli stessi titoli.  

- Dunque non si fanno libri senza TV e cinema? 

E’ un problema generale, non solo dei libri per bambini. Se vendono solo i libri che passano in TV – magari sono ottimi libri e ottimi scrittori, in particolare le scelte della redazione di Fazio sono eccellenti - ma questo per me  è il fallimento di un sistema che è fatto di editore, libraio, recensore eccetera. Che diventano irrilevanti a vendere anche un capolavoro se non c’è la TV. Questo, insisto, non va bene. 

- Qual è la rilevanza internazionale della letteratura per ragazzi italiana? 

Per quello che riguarda noi, all’inizio siamo partiti senza autori italiani e di conseguenza oggi ne pubblichiamo di più. Diciamo che gli autori italiani di respiro internazionale non sono moltissimi. Più che guardare quanti autori stranieri si pubblicano in Italia, mi sembra rilevante guardare quanti libri italiani si pubblicano all’estero. Alcuni vendono bene in tutto il mondo. Ma non sono tanti. Il che non vuol dire che non si possano pubblicare in Italia dei buoni libri destinati al mercato italiano, e noi stessi lo facciamo. Ma riuscire a vendere i diritti all’estero è un’altra storia.
Parlando più in generale, e non solo di libri per ragazzi, penso che la letteratura più provinciale sia quella che fa finta di essere internazionale. Non leggerei mai, che so, un thriller “di genere americano” scritto da un greco: gli americani sanno farlo meglio. I gialli svedesi sono piaciuti all’estero perché sono molto svedesi. Con l’interesse che all’estero c’è per l’Italia, ci sarebbe spazio – e Camilleri lo dimostra – per scrivere delle cose “italiane” che possano interessare anche all’estero. Spesso è proprio il desiderio di perdere le connotazioni locali che rende provinciale un testo.

- E’ appena trascorsa la seconda edizione di Bookcity. Che ne pensi di questa iniziativa milanese? 

Penso bene di tutto quello che fa parlare di libri. In particolare mi sembra positivo che Bookcity si svolga in una città grande, i festival letterari sono quasi sempre in città piccole, forse si teme che la città grande possa essere troppo dispersiva. Bookcity dimostra che così non è. E, con i mille difetti che Milano ha, bisogna pur dire che un festival letterario non c’è né a Parigi né a New York né a Berlino né a Londra. Ovviamente Milano non è né Parigi né Londra né Berlino. Però lì non lo hanno fatto. Se ne parlava al festival di Göteborg, loro sono convinti che a Stoccolma non si potrebbe fare. Gli ho detto di Milano, e che a Milano funziona.  

- Bologna è vicina, come ci andrete? 

Ogni anno cerchiamo di definire una linea, ma la verità è che ogni anno cerchiamo di andare a Bologna con dei buoni libri.

(Rosella Picech, Alicenelpaesedeibambini.it, Novembre 2013)

Si vedano anche: Lettori si diventa e Che ne dice di Harry Potter?, intervista a Luigi Spagnol del Dicembre 2002

 

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