Che cosa gli piaceva leggere quand’era ragazzino? “Sàlgari” e non
Salgàri come sa che si dice. Per lui, l’intrepido immaginatore di tante imprese avventurose è
rimasto: “Sàlgari”, come nell’infanzia.
Luigi Spagnol lo pronuncia alla sua maniera, sfidando accenti e
saccenti correzioni, al convegno “Lettori si diventa”, che si è
tenuto di recente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano, organizzato da Salani, Università Cattolica e Fondazione
Mondadori.
E si chiama proprio così “Lettori si diventa”, la campagna di
promozione alla lettura lanciata in quell’occasione da Luigi Spagnol,
editore e presidente di Salani, con l’intento di coinvolgere i
bambini e i ragazzi di quella che una volta si chiamava “scuola
dell’obbligo”.
Scuola e scolari. Questi i soggetti prescelti su cui intervenire.
Non sono comunque esclusi i genitori, che cliccando sul bottone
adatto di
“lettori si diventa” (http://www.lettorisidiventa.com/)
potranno anch'essi scaricare gratuitamente ”il gioco”, quasi un “mastermind”,
in cui il lettore misurerà la sua abilità dopo aver letto uno o più libri dei
“magnifici 12” che la casa editrice ha scelto dal
proprio catalogo:
Roald Dahl,
La fabbrica di cioccolato; Luis Sepúlveda,
Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare;
Astrid Lindgren,
Pippi Calzelunghe; Daniel Pennac,
L’occhio del lupo; Jostein Gaarder,
C’è nessuno?; David Almond,
Skellig; Roddy Doyle,
Il trattamento ridarelli; Silvana Gandolfi,
L’isola del tempo perso; Jacqueline Kelly,
L’evoluzione di Calpurnia; Van Loon Paul,
L’autobus del brivido; Michael Ende,
La storia infinita; Uri Orlev,
L’isola in via degli uccelli).
Partire dall’iniziativa di “Lettori si diventa”, nella conversazione
intavolata con Luigi Spagnol, ha innescato una sorta di “meccanismo
del ricordo”, che ha fatto rievocare il libro per ragazzi
nell’Italia dei tempi
d’oro - fine anni Ottanta,
inizio Novanta: le scelte di allora e i cambiamenti intervenuti successivamente. L’analisi
dell’editore si dipana e gradualmente emerge il suo giudizio.
R.P. Con il recente convegno "Lettori si diventa" che
si è tenuto in Cattolica, la Salani di cui sei editore e presidente,
ha inaugurato una campagna di promozione della lettura fra i bambini
delle scuole elementari e medie ispirandosi a un grande nume
tutelare della casa editrice, quel Roald Dahl, capofila degli
Istrici, collana Salani, che ha segnato una svolta decisiva nel libro
per bambini alla fine degli anni Ottanta, che così diceva:”
«se riesci a far innamorare i bambini di un libro, o due, o tre,
cominceranno a pensare che leggere è un divertimento. Così, forse,
da grandi diventeranno dei lettori. E leggere è uno dei piaceri e
uno degli strumenti più grandi della nostra vita».
Di che si tratta?
L.S. Il nostro
è un progetto abbastanza minimal. Un sasso lanciato nello stagno.
L’abbiamo fatto da soli: e questo per forza di cose ne riduce in
qualche modo la portata. Da soli e solo con i nostri libri. Un
elenco di soli 12 titoli comporta delle scelte difficili.
Volendo, avremmo potuto sceglierne 12 solo di Dahl, oppure mi
sarebbe piaciuto annoverare nel pacchetto anche altri libri che non
abbiamo fatto noi ma quest’altra decisione avrebbe comportato il
coinvolgimento di altri editori. Oltre a intuibili problemi di
coordinamento, ogni editore avrebbe voluto proporre almeno un suo
libro. E francamente non so se ci siano in Italia 12 editori che
abbiano un libro a livello dei 12. Almeno, a me non pare.
-
E’ questo che vi ha fatto decidere di fare da soli?
In parte sì. Ma abbiamo avvertito
soprattutto l'urgenza di partire e di far
sapere
questo: che fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 si è
dedicata molta energia – degli editori, del mercato, dei librai –
alla letteratura per bambini in Italia, per la prima volta dopo
tanti anni. Poi abbiamo smesso: ma questo non è il momento di
smettere, è il momento di andare avanti.
- Quel tempo è stato come un rinascimento. L’uscita dei vostri Istrici, degli Junior
Mondadori, dei libri della EL, del Battello a vapore, dei Delfini
Bompiani..., una convergenza felice, centrata sul tascabile. Un periodo davvero fecondo. Ma perché, secondo te:
c’erano delle condizioni particolari?
Probabilmente sì. L’Italia
era molto arretrata rispetto ad altri paesi europei, il gap è stato
riempito tutto in una volta. Proviamo a rifare una breve storia.
All’apparire di quei nuovi libri, c’è stata una reazione contraria
di una parte del mercato. Le
nonne, che tradizionalmente regalavano i libri, richiedevano delle
ricche edizioni illustrate e non dei tascabili per i nipoti. Ma i
bambini, che forse nel frattempo si erano evoluti, e avevano più
voce in capitolo, se gli mettevano fra le mani Oliver Twist magari
non lo leggevano, però leggevano Dahl, e il libro successivo lo
richiedevano "uguale a quello". Forse, c’entrava anche il fatto che
a comprare libri per bambini era una generazione che veniva dal ’68,
e aveva una visione un po’ diversa del leggere e di altre cose.
Nella scuola è stato lo stesso. Abbiamo scoperto che c’era una
nutrita schiera di insegnanti che proponeva dei libri ai bambini,
ed erano insegnanti interessati a vedere, a capire se questi libri
piacessero davvero ai bambini oppure no. Mentre prima eravamo abituati a insegnanti che
"assegnavano" dei libri da leggere e quelli dovevano essere,
piacessero o no. Era come
se dicessero: so io quello che va bene per te, ed è quello che ho
letto io da bambino.
- Un grande cambiamento questo descritto, e non solo per il libro
italiano dell’infanzia …
Sì, però poi è cominciata
un’altra fase. L’idea di fare delle collane omogenee, perché il
bambino, letto un libro, ne chiede un altro della stessa collana –
come è accaduto per Gl’Istrici, o il Battello a vapore o tutti gli
altri – e quindi il genitore, il libraio, il bibliotecario si fidano
di quella collana e le si affidano, è un’idea in qualche modo
immatura. Lascia all’editore la scelta, diciamo pure il potere. In
altri paesi, dove i bambini leggono di più, questo non avviene. C’è
una rete che è in grado di scegliere i buoni libri indipendentemente
dagli editori. Qualcuno li legge, i giudizi e i consigli circolano.
L’evoluzione dunque, che noi di Salani abbiamo cercato di
assecondare e di incoraggiare, è stata il superamento della collana.
E abbiamo puntato molto sui “fuori collana”. Mentre a fare le
collane eravamo in tanti, a fare i fuori collana siamo stati fra i
pochi. Anche con ottimi risultati.
- Qualche esempio?
La Gabbianella
era fuori collana.
L’uomo che piantava gli alberi
pure.
L’uomo che sapeva contare,
L’Isola in via degli Uccelli
erano fuori collana. E
Harry
Potter
era fuori collana. Avere dei fuori collana è stato ciò che ci
ha permesso di prendere Harry Potter.
Altri editori, se l’avessero preso, lo avrebbero magari
incanalato in una collana. Gallimard lo ha fatto. Faccio un altro
esempio: abbiamo preso Pennac per bambini perché Feltrinelli non
aveva libri per bambini. Non avrebbe avuto dove mettere
L’occhio del
lupo. Mentre Fatucci quando le è capitato di avere un Pennac, ha
creato una collana per mettercelo dentro. Ancora adesso mi pare che
molti editori ragionino così.
-
Diventa quasi una “teoria” la sistemazione fuori collana…
Come dicevo, io penso che il superamento della collana sia una
maturazione del mercato, l’evoluzione verso un mercato più
consapevole. E questo a un certo punto è cominciato ad accadere.
Dalle collane si è arrivati a mettere in luce singoli autori – metti
il caso di Dahl – e il lettore sceglieva di andare avanti a leggere
quell’autore. O sceglieva singoli titoli di quell’autore, sulla base
di una valutazione qualitativa, senza bisogno di averci attorno la
collana, la serie, diciamo il marchio.
Ultimamente invece siamo tornati indietro anche rispetto alla
collana: il mercato vuole solo la serie. Intendiamoci, non ho nulla
contro la serie. E’ una forma letteraria che è esistita nei secoli e
ha prodotto delle cose bellissime. A me piacciono, da bambino
leggevo Il dottor Dolittle che è una serie. La serie ha due
dimensioni, quella verticale – la vicenda che si esaurisce in un
libro – e quella orizzontale, la vicenda che va avanti da un libro
all’altro. Quando questa vicenda orizzontale è avvincente, o è
avvincente il
mondo che sta nei libri, c’è il gioco dell’attesa fra un libro e
l’altro. Che diventa un’ulteriore vicenda: quella del lettore. E’
successo in modo esponenziale per Harry Potter ma è sempre così. Non
ho dunque nulla contro la serie.
Ma se il mercato si rivolge esclusivamente alla serie perché,
diciamo, così non c’è più bisogno di pensare – se un libro ha
successo e ne dò al lettore il secondo e poi il terzo e così via –
allora questo è un passo indietro. Si cade tutti – genitori,
insegnanti, librai, bibliotecari – in una sorta di pigrizia
intellettuale. Non mi piace. Tutti costoro devono essere attori
attivi del mercato, non delegare ogni scelta all’editore.
- Però anche la vostra scelta dei 12 libri è comunque una scelta
editoriale. E a questo proposito, perché avete scelto come
destinatari i bambini di una fascia di età compresa fra la seconda
infanzia e l’adolescenza?
Perché è necessario lavorare
con la scuola, e ho un debito di riconoscenza con Daniela Bonanzinga,
una libraia di Messina, che è stata premiata alla Scuola dei librai
di Venezia, per avermelo fatto comprendere con il suo progetto di
“libreria che incontra la scuola". Il mondo della scuola diventa
partner ufficiale della Libreria Bonanzinga in un’attività mirata a
potenziare il libero rapporto tra i giovani e la lettura. In
particolare mi ha colpito il lavoro che consiste nell’acquistare
5-700 copie di un libro, lavorarci per mesi a scuola, al termine dei
lavori la libraia invita l’autore a parlare davanti a centinaia o
migliaia di bambini che hanno letto il suo libro: i bambini
interrogano l’autore,
e
“mettono in scena” il libro.
Voglio sottolineare che la scuola ha un sacco di difetti, e li
conosciamo. Ma non c’è altro. La scuola è l’unica istituzione che in
Italia si occupa dei ragazzi. Non è sostituibile. Con la scuola
bisogna lavorare. Starne fuori e limitarsi a criticarla, non serve a
niente.
Naturalmente il nostro raccordo con la scuola è un tentativo, per
ora è poco più di un pulsante sul nostro sito. Per lavorare
organicamente con la scuola bisognerebbe avere delle strutture che
non abbiamo. Però proviamo, vediamo come va.
Ovviamente per noi è anche un’operazione commerciale: siamo
commercianti. Di questi 12 libri ne abbiamo mandati in libreria
40.000 copie: se non ci fosse stata questa operazione, ne avremmo
mandati 10 volte di meno.
- Avete compreso nell’iniziativa anche e-books? E che cosa ne pensi in
generale?
Non abbiamo messo e-books perché di alcuni non abbiamo i diritti. Ma
su questo argomento ho qualche perplessità. Si parla tanto di
“nativi digitali” ma – nella mia limitatissima esperienza personale
– non conosco un solo “nativo digitale” che abbia letto un e-book.
Fanno tutto al computer, tranne leggere libri. Il libro se lo
comprano.
- In sintesi, qual è oggi lo stato dell’editoria per ragazzi in
Italia?
In sintesi, c’è bisogno che i ragazzi leggano di più e leggano
"meglio". Io parto dal presupposto che il mercato ha ragione, nel
senso che se un libro o una serie o un progetto vendono bene, vuol
dire che hanno delle qualità. “Meglio” dunque non vuol dire che i
libri che si vendono non siano buoni. Però occorre allargare il
mercato. Oggi in realtà è costituito da tre o quattro cose che
stanno in televisione, o al cinema. Noi stessi
stiamo vendendo Harry Potter quest’anno meglio dell’anno scorso,
perché i suoi film sono passati su Sky. Se guardi le classifiche dei
libri per ragazzi, 8 su 10 sono sempre gli stessi titoli.
- Dunque non si fanno libri senza TV e cinema?
E’ un problema generale, non solo dei libri per bambini. Se vendono
solo i libri che passano in TV – magari sono ottimi libri e ottimi
scrittori, in particolare le scelte della redazione di Fazio sono
eccellenti - ma questo per me è
il fallimento di un sistema che è fatto di editore, libraio,
recensore eccetera. Che diventano irrilevanti a vendere anche un
capolavoro se non c’è la TV. Questo, insisto, non va bene.
- Qual è la rilevanza internazionale della letteratura per ragazzi italiana?
Per quello che riguarda noi, all’inizio siamo partiti senza autori
italiani e di conseguenza oggi ne pubblichiamo di più. Diciamo che
gli autori italiani di respiro internazionale non sono moltissimi.
Più che guardare quanti autori stranieri si pubblicano in Italia, mi
sembra rilevante guardare quanti libri italiani si pubblicano
all’estero. Alcuni vendono bene in tutto il mondo. Ma non sono
tanti. Il che non vuol dire che non si possano pubblicare in Italia
dei buoni libri destinati al mercato italiano, e noi stessi lo
facciamo. Ma riuscire a vendere i diritti all’estero è un’altra storia.
Parlando più in generale, e non solo di libri per ragazzi, penso che
la letteratura più provinciale sia quella che fa finta di essere
internazionale. Non leggerei mai, che so, un thriller “di genere
americano” scritto da un greco: gli americani sanno farlo meglio. I
gialli svedesi sono piaciuti all’estero perché sono molto svedesi.
Con l’interesse che all’estero c’è per l’Italia, ci sarebbe spazio –
e Camilleri lo dimostra – per scrivere delle cose “italiane” che
possano interessare anche all’estero. Spesso è proprio il desiderio
di perdere le connotazioni locali che rende provinciale un testo.
- E’ appena trascorsa la seconda edizione di Bookcity. Che ne pensi di
questa iniziativa milanese?
Penso bene di tutto quello che fa parlare di libri. In particolare
mi sembra positivo che Bookcity si svolga in una città grande, i
festival letterari sono quasi sempre in città piccole, forse si teme
che la città grande possa essere troppo dispersiva. Bookcity
dimostra che così non è. E, con i mille difetti che Milano ha,
bisogna pur dire che un festival letterario non c’è né a Parigi né a
New York né a Berlino né a Londra. Ovviamente Milano non è né Parigi
né Londra né Berlino. Però lì non lo hanno fatto. Se ne parlava al
festival di
Göteborg,
loro sono convinti che a Stoccolma non si potrebbe fare. Gli ho
detto di Milano, e che a Milano funziona.
- Bologna è vicina, come ci andrete?
Ogni anno cerchiamo di definire una linea, ma la verità è che
ogni anno cerchiamo di andare a Bologna con dei buoni libri.
(Rosella Picech, Alicenelpaesedeibambini.it, Novembre 2013)
Si vedano anche:
Lettori si diventa e
Che ne dice di Harry Potter?, intervista a Luigi Spagnol
del Dicembre 2002