SPECIALE_Bologna Children's Book Fair 2019_Libri in vetrina

BCBF 2019_Bologna Children’s Book Fair. LIBRI IN VETRINA

SUPERPULCI

Triplicano il numero delle pagine le due nuove “Pulci nell’orecchio”, conservando intatte le caratteristiche di collana che già tanto le avevano fatte apprezzare. Ed eccole, “aumentate”, sempre nell’ingegnosa impostazione d’origine, affidate alla cura di Fabian Negrin, per le edizioni di orecchio acerbo.
Si tratta, questa volta, dei singolari racconti, di due autori importanti - Bee bee, Pecora nera di Rudyard Kipling e L’occhio di vetro di Cornell Woolrich-, entrambi illustrati dal curatore della collana. Anch’essi, come i precedenti, piccoli capolavori, ripescati dall’oblio, nell’opera di recupero e riproposizione encomiabile, prevista dal piano editoriale.

Bee bee, Pecora nera di Rudyard Kipling ("Pulci nell'orecchio", Orecchio acerbo editore)
Quasi un racconto autobiografico, che attinge all’infanzia dell’autore, non dimentico dei guasti prodotti dall’allontanamento dalla famiglia e dall’ambiente dei suoi primi anni di vita. Due bambini, fratello e sorella, Punch e Judy, devono abbandonare la dolcezza della loro vita in colonia, e dall’India favolosa, che riemergerà costante nella nostalgia e nell’opera di chi racconta, trasferirsi in madrepatria, l’Inghilterra. Vanno per frequentare le scuole e vanno da soli. Separati da mamma e papà. Entrano in una strana famiglia, dove fin da subito si capisce che non c’è posto per un altro bambino. Zia Rosa, bigotta e segaligna, ha già un figlio maschio che le somiglia molto e la sorellina di Punch, che è piccola, dolce, ignara, è fatta per essere inglobata dalla terribile donna. Il gruppo così composto, conchiuso, “perfetto”, a se stante, allontana ogni altra immissione. Ai margini rimangono lo zio Harry, docile marito di madame, e Punch, abituato ad essere ascoltato, obbedito e amato da genitori e servitù della casa da cui proviene. Il bambino ha carattere, cerca incontri e confronti dai quali è sistematicamente bandito. Di più, ogni occasione è buona per calunniarlo, offenderlo, umiliarlo. Lui è una Pecora Nera. Disturbatore dell’idillio, è di continuo perseguitato, in una ipocrita crociata che lo emendi dai suoi “terribili peccati”. Unico rifugio di Punch è la lettura: vorace, insaziabile, ingurgita pagine, beato di quell’unica felicità. Una perfidia sottile guida il racconto di inimmaginabili angherie, che insozzano quell’unica consolazione, calpestandola. La misura è colma. E il feral child, richiamato dalla giungla, si scatena. Kipling recupera lo sgomento degli anni suoi, e lo riversa in queste pagine, di perspicacia psicologica e di perfezione narrativa, dando l’impressione di un dolore mai sopito, nemmeno nella distanza degli anni.

L’occhio di vetro di Cornell Woolrich,
Buon sangue non mente. E se il padre è retrocesso, il figlio avanza a suo nome. Anche di grado. È il gesto imprevedibile di un narratore che inverte la rotta del suo “nero” procedere.
Un Woolrich quasi irriconoscibile se non ci fosse a serpeggiare, anche in questo racconto, l'ansia ritmata del testo, fedele alla tempra di sempre.
Woolrich, a sorpresa, passa all'infanzia e inscena un racconto su quella misura.
Il contesto dei luoghi che gli sono noti, periferie di povera gente, famiglie che si arrabattano, e figli che crescono, ma ancora in un’età di giochi, di scambi che facciano emergere chi è più svelto e più furbo. Succede che in uno dei giochi, venga scambiato per distrazione un pallone da baseball con un occhio di vetro. Quest'ultimo diventa il perno su cui s'innesta la vicenda. Il ragazzo di 12 anni, che ne entra in possesso, sa che il padre, agente di polizia, verrà retrocesso di grado; a salvargli il posto e il salario potrebbe essere l'indagine che risolva un omicidio. Trovandosi in mano quell’occhio di vetro, il ragazzo s‘interroga sulla sua provenienza. Da degno figlio di suo padre, considera l’indizio, formula ipotesi, fa congetture e si apposta, osserva, registra, pedina il sospetto. E agisce. Rischiando. Si è messo al posto di suo padre per offrirgli di nuovo il suo posto. Per riscattarlo.
Pallido il ricordo del “noir” d’abitudine, ma suspense, fiato corto e ingordigia del lettore, riemergono puntuali a riconfermare la piena riconoscibilità di un autore di razza.

                                                      

DALLA SVIZZERA, MODERNI FAVOLISTI
In occasione di “SVIZZERA, Paese ospite d’Onore” a Bologna Children’s Book Fair 2019, l’editrice Il Castoro porta in Fiera, nella traduzione di Alessandro Valtieri, Rigo e Rosa di Lorenz Pauli, con le illustrazioni di Kathrin Schärer, rispettivamente autore e illustratrice di grande successo e tra i più popolari. Il libro prende spunto da una storia vera di amicizia tra un leopardo e un topino allo zoo di Berna.

RIGO e ROSA di Lorenz Pauli, illustrazioni di Kathrin Schärer (Il Castoro editrice).
Scene di vita domestica si potrebbero definire i 28 racconti di questo bellissimo libro illustrato, se già nel dirlo non si avvertisse una immediata perplessità. La casa in questione è il grande recinto in uno zoo, e la coppia che lo abita è la più bizzarra che si possa immaginare. A meno di non fare ricorso agli antichi favolisti e al loro gusto di invocare gli animali per fare posto agli uomini.
Un leopardo e un topolino, meglio una topolina, Rigo e Rosa. Eccoli nella pagina, ben evidenziati:  piccolissima e irrefrenabile Rosa, grande e maestoso Rigo. Parlanti, come si addice alla loro particolare condizione. Di più, impegnati in dialoghi festosi, ironici, filosofici.
Libera la topolina di entrare e uscire dalla gabbia a piacimento; condizionato dal recinto il buon leopardo. Lei è giovane e lui è vecchio. Piena di energia, pronta a capriole di gioco e di parola, lei; saggio, riflessivo, consapevole dei limiti posti non solo dalla gabbia ma anche dal carico degli anni, lui.
Con loro, non si tratta più, come succedeva un tempo, dello scambio di favori e di riconoscenza che salvava il topo dal leone e il leone dalla trappola. Bandita ogni utilitaristica intenzione, in queste pagine si assiste al miracolo di una amicizia vera. Ma che cos’è l’amicizia? e la fiducia, la paura, la gioia, l'amore, la natura, la verità? Discettano gli amici e noi con loro.
E così, divertendosi di gioco e di parola, trascorrendo dall’esaltazione alla malinconia, perdendosi in meravigliose congetture surreali, riscattando la realtà, il leopardo e la topolina recuperano per l’uomo, in immagini di incredibile felicità letteraria, il senso della vita.

                                                    

LA REALTA’ DISSIMULATA NEL GENERE
Fantasy, avventura, thriller avanzano le loro proposte, nascondendo nei giochi, nelle imprese da eroi, nelle ricerche da improvvisati detective, le paure, le angosce, il dolore, connessi alla separazione definitiva, al congedo per sempre. Fantasmi che prendono forma, diventano realtà, e a quella richiamano anche la coscienza dei piccoli.
Due nuove prove narrative si cimentano, da opposti versanti, sul difficile tema della morte.

La spada di legno di Frida Nilsson (Feltrinelli, “UP”)
Echi di antichi miti ma anche risonanze da “divina commedia” -la discesa agli inferi, l’Ade e i “regni” danteschi; così come i nomi ricorrenti (spartan-spartani, Arpir-Arpie, a designare gli umani “trasmigrati” in sembianze animali, in richiamo a una metempsicosi molto adattata), per non citare Karo che, vista la parte sostenuta, non può che evocare Caronte. Ma a caratterizzare decisamente il romanzo Feltrinelli destinato ai più grandi (“UP”), è un’impronta fantasy. Nelle pieghe del genere narrativo, soccorso ad abundantiam dalle suggestioni citate, si spingono però con urgenza le domande di sempre (che cos’è la vita? l’amicizia, l’amore, l’odio, la guerra? che cos’è la morte?), virando gli accenti a un romanzo di formazione.
Un altro Ulisse s’imbarca nella sua odissea, solcando il mare con una modesta barchetta. Questa volta è un bambino, Sasya, all’approdo fatale al di là dell’Oceano, nel mondo dei morti, alla ricerca della sua mamma, ghermita da Morte (una personificazione, un “signor Morte”), all’apparenza di inaspettata cortesia, squisito ospite (di mare nella sua magnifica nave, di terra nella sua ridente tenuta), personaggio di leggendario prestigio, oggetto d’amore totale da parte dei sudditi fedeli di quel mondo.
E’ un’avventura eroica, l’impresa che si propone Sasya per giungere al cospetto di Morte, sfidare la sua potenza, vincerlo e riportare la sua mamma a casa. E, come un eroe, Sasya deve superare ardue prove, di resistenza, fatica, dolore, attraversando valli, boschi, monti impervi, patendo caldo e freddo, fame e sete, persino una crudele prigionia. Ad affiancarlo, condividendo questa sorte, tre amici, appartenenti ai tre distinti popoli che abitano nelle rispettive terre, nel mondo dell’al di là: un tenero fidato maialino e una saggia cagnolina, ai quali si aggiungerà, successivamente, una inedita arpia maschio. Sono tutti “cuccioli”, vogliono giocare (via, in guardia!) e sfoderano bastoni come spade di legno, battendosi a turno nel ruolo di Morte, per preparare l’amico al combattimento decisivo che lo attende. Il viaggio, verso la contesa finale, intervallato di ostacoli e giochi, diventa così il cuore vero del romanzo, là dove si sperimenta l’avventura più impensabile che non smette di essere avvincente.
Degno epigono di Ulisse, Sasya infine non userà la forza ma l’astuzia e l’intelligenza per vincere l’imbattibile Morte e ritornare a casa con la mamma, ripercorrendo i mari, a bordo di entrambe le imbarcazioni: la fastosa nave di Morte e la sua barchetta provvidenziale. Pronto a vivere la sua vita fino in fondo, ormai esperto di quello che potrà accadere allo scoccare dell’ora fatidica.

Gli angeli di pietra di Kristina Ohlsson (Salani)
E adesso tocca a Simona. Ricomposto il terzetto, con Billie e Aladdin, l'autrice svedese parte con una nuova avventura, ricalcando il modello del genere che tanto successo le ha procurato, non solo in patria ma anche altrove. Una storia in cui il passato pretende un nuovo presente, invoca thriller e mistero, non rinunciando al brivido del soprannaturale, coinvolgendo i tre piccoli amici, non nuovi a queste esperienze. Assaporati e superati i fantasmi incontrati da Billie in Bambini di cristallo e “il bambino con i pantaloncini corti in pieno inverno” avvistato da Aladdin in Il bambino argento, questa è la volta di Simona, come dicevamo. Il teatro delle vicende è immancabilmente una casa.
E’ molto grande la casa della nonna di Simona e concede spazio all’esplorazione, offrendo salite e discese per le scale che portano a numerose camere, contrassegnate da nomi suggestivi; una in particolare, “la camera dei sospiri”, attrae l’attenzione della ragazzina. In passato, la casa della nonna è stata un hotel e chissà quante storie ha da raccontare. Se solo si scopra come ascoltarle. Ascolta Simona, e qualcosa intuisce, accendendo quell’aggeggio antidiluviano che le ha regalato la nonna. Il mangiacassette, attraverso nastri che sembrano già registrati, fa udire, a tratti, sospiri, passi, messaggi, che “ritira” improvvisamente quando Simona vuole partecipare agli amici le sue scoperte.
Davvero un mistero. Come la famigliola di statue di pietra che abita il giardino della casa: padre, madre, due figli, che cambiano spesso la loro formazione iniziale. Come gli strani fenomeni che si verificano nella camera misteriosa: ancora, passi, sospiri, e anche ombre fugaci.
Molte cose non quadrano. E Simona, con gli amici, si muove alla scoperta di quei fatti inspiegabili che sembrano intrecciati fra loro. Ma al di là di quella febbrile ricerca, c’è altro che attanaglia il cuore di Simona. La nonna, che lei ama profondamente, non sta bene, minimizza e sfugge alle premure della nipotina. Anche lei nasconde un segreto? Di pari passo, Simona procede. Cosa succede nella casa della nonna e cosa succede alla nonna?
Se le tessere del puzzle che riguardano la casa riveleranno a compimento dell’indagine, un segreto di famiglia custodito per troppo tempo, anche se come sempre lasceranno un interrogativo sospeso (non c’è risposta esauriente al mistero nei romanzi della Ohlsson); quel che è riservato alla nonna si è capito da molto tempo, purtroppo. Solo Simona non ha voluto vedere- per infanzia, per amore e per paura.
Se l'autrice è specialista nel condurre i suoi bambini nel ruolo di indagatori del mistero, come sempre non tralascia di affidare al genere anche altri compiti. Decisamente importanti. Come rappresentare, con chiarezza ma estrema sensibilità, l'irrompere della morte a smorzare la vita, a portare dolore. E infine consolazione, là dove c'è stato molto amore.

                                                       

LA STORIA ATTRAVERSO LE STORIE
Storie vere di Storia “da passare” ai ragazzi, filtrate attraverso un racconto avvincente. In una funzione pedagogica, che punta comunque a una narrativa di qualità. Nella collana bianca di “Einaudi Ragazzi”, improntata al principio appena enunciato. Molti i “pezzi” pregevoli di quella raccolta: questo romanzo è uno di essi.

Il coraggio salpa a mezzanotte di Andrea Atzori (Einaudi Ragazzi)
Teatro di guerra, nella seconda guerra mondiale, la Norvegia, invasa dalla Germania nazista, organizza la sua Resistenza. Lo “Shetland Bus”, inizialmente una flotta di pescherecci, che fa la spola dalle Isole Shetland alle sponde della Norvegia e viceversa, è una delle sue pagine eroiche: trasportava, in un viaggio di andata e ritorno di 24 ore, armi e rifornimenti in Norvegia e riportava, da quelle sponde in Arcipelago, agenti e rifugiati braccati dalla Gestapo.
Il viaggio costò la vita a molti membri del gruppo che organizzava i trasporti e operava sui pescherecci.
Il romanzo si cala in quel contesto, mantenendosi fedele alle pagine di Storia, per date, accadimenti e anche per alcuni personaggi inseriti nella trama, discostandosi invece nell’allestimento di un set, che si serve dell’estro inventivo dell’autore, nel rendere partecipi e centrali i protagonisti, un terzetto di ragazzi: Agatha, “meccanico eccellente”, “Calum, ottimo marinaio” e “Haakon, che conosce a memoria i fiordi di Bergen perché ci è nato”.
Accurato nella ricostruzione del fatto storico e estremamente attento nella costruzione dei personaggi ragazzi, l’autore dedica a ciascuno di essi spazi significativi del racconto per fare emergere caratteri, personalità e motivazioni ai loro comportamenti. Non trascura l’ambiente in cui si muovono, la comunità in cui sono inseriti, la natura, il mare, le imbarcazioni, il lavoro cui si dedicano, anche se solo ragazzi, nella tradizione di famiglia, legata per necessità e vocazione alla navigazione. Questo per quanto riguarda gli indigeni, Agatha e Calum, ma anche il forestiero, l’orfano di un padre eroe, Hakoon, il norvegese, salvato con la sua famiglia dallo Shetland Bus. Costituito questo gruppo (i due amici di sempre e lo straniero, l’espatriato), l’autore provvede, con attente manovre, ad accostarli, puntando a un’integrazione, che si rivelerà a vantaggio di ciascuno di essi. Le diffidenze iniziali si smusseranno, fornendo anche un’ occasione determinante per cementare la loro amicizia. Se il norvegese ha buoni motivi per volere contribuire alla causa dello Shetland Bus, anche gli altri due ragazzi, solidali, abbracceranno il progetto, considerato inizialmente decisamente folle. Lavorando al recupero di un vecchio peschereccio naufragato sulla scogliera dell’isola, riusciranno a prendere parte a un viaggio davvero eroico. Pagine di forte misura, intessute di suspense, pathos e grande competenza nell’organizzazione del viaggio, della navigazione e della pericolosa azione di scontro con il nemico, trattengono il fiato del lettore, liberandolo dalla morsa dell’attesa in un epilogo davvero emozionante.

                                                      

UNITI PER FARFARIEL
Una comunità intera, riunita per festeggiare il suo cantore, il rammentatore di radici condivise, nella vicinanza geografica, storica e culturale. Spettacoli, musica, pittura, accompagnati da buon cibo e soprattutto buon vino. Per la presentazione di Farfariel – Il libro di Micù, dello scrittore e sceneggiatore abruzzese Piro Albì, pseudonimo di Pietro Albino di Pasquale, una vera gloria locale. Edito da Uovonero, il lavoro che ha avuto il supporto dell’Agenzia di sviluppo locale Itaca, approda alla Fiera del libro di Bologna.

Farfariel - Il libro di Micù di Pietro Albì (Uovonero editore)
Un volume robusto, severo, anche inquietante, per via di una profetica traccia rossa, che rompe l’omogeneità dell’insieme, disegnando il titolo. I caratteri svolazzanti sovrastano la foto di un bambino, Micù, cupo, piccolo, sghembo, vestito con l’unico vestito buono, un po’ luttuoso. Accanto, leggermente spostato all’indietro, inequivocabile, seppure in un’immagine sfocata, un minuscolo diavolo, il Farfariel del titolo. Sono loro, questi personaggi, che ci guideranno per le vie di un paese reale, Canzano, poco più di un borgo d’Abruzzo, nella sua storia ferma al fascismo del 1938, animato da personaggi che forse adombrano persone reali o tipi umani che si incontrano in quelle contrade. E sono sempre loro, che ci faranno attraversare luoghi in cui la ragione non può niente, accantonata dal delirio dell’incubo, del dolore, della superstizione.
Un romanzo di formazione in un’Italia contadina, soffocata dalla miseria, dall’ignoranza, dalla prepotenza dei signori del luogo, in una Canzano reale che avanza nelle fotografie d’epoca, preposte ad ogni capitolo, per una celebrazione della terra dei natali di chi scrive, presa a pretesto per introdurre una visione del mondo in cui rintracciare motivi di riflessione, forse anche sull’oggi. E una Canzano immaginaria, slittata in un altrove infernale non si sa per quale malia, che sembra cancellare la realtà in cui Micù, piccolo poliomielitico, vessato dal destino, dai compagni, da un padre frustrato e violento ma confortato dalla grandezza di un nonno, è aggrappato al suo vivere, alla sua volontà di emanciparsi con lo studio, alla ricerca disperata di un ubi consistam che gli dica chi è e chi non dovrebbe essere, in tanta confusione. Accanto a Micù, Farfariel. Cosa rappresenta il diavolo Farfariel, personaggio determinante ai fini della complessa costruzione del libro e della storia di un Libro? Coscienza critica del personaggio Micù o alter ego dello scrittore? O, a fasi alterne, entrambe le cose? Di certo, è il solerte tessitore di una trama rossa che interpunta, in note a margine del testo o in cassature di pagina inappellabili, quella ufficiale. Campione di una lingua barocca, ricca, debordante, che fonde il bel parlare con il dialetto e una più libera invenzione, a maggior gloria di questo sorprendente romanzo. (Rosella Picech da LiBeR 122)
 
(di Rosella Picech, Alicenelpaesedeibambini.it, Marzo 2019)

          
(
La rassegna delle novità prosegue con altre recensioni)
              

 

 

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ALICE NEL PAESE DEI BAMBINI
ideazione, titoli e testi di Rosella Picech
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