racconti e romanzi  
 

Pete Hamill

Neve in agosto





.... Pete Hamill, l’autore di
Neve d’agosto (Salani),
indica in Michael Devlin una vocazione salda dell’infanzia,
che ha in sé, nella sua costituzione, la forza visionaria di cambiare il mondo.
E, attraverso la rappresentazione di questa potente
Weltanschauung
infantile, un qui e ora, reale e immaginario, fonda la sua “città ideale”.
L’utopia di una realtà nuova, alla quale chiedono pari diritti
di cittadinanza gli eroi del quotidiano e gli eroi del meraviglioso, uniti da un medesimo intento, un unico proposito. Sostenere la civiltà,
i valori che ne sono a fondamento, allontanare la barbarie
e il suo corollario di intolleranza e di morte.
All’interno del vero miracolo costituito da questo romanzo.

 



Michael Devlin come Capitan Marvel. Se il ragazzino dice “Shazam” si ricompone un mondo. E allora c’era una volta in America, radio days e le canzoni di Bing Crosby, Nat King Cole, Perry Como e Doris Day e l’orchestra di Benny Goodman o Count Basie. I film, i fumetti, le leggende irlandesi di mamma, e Jack London, Edgar Allan Poe, Charles Dickens e l’enciclopedia Le meraviglie del sapere. La biblioteca di Garibaldi Street e il cinema Venus, prima di rimettere piede al Grandview, dove Michael era stato da piccolino con papà, quando papà c’era. E il baseball, dei Dodgers e del magnifico Jackie Robinson, “il primo negro nelle leghe maggiori del baseball”.
E lui, Michael Devlin, e Sonny e Jimmy, uno per tutti e tutti per uno, come i tre moschettieri. Lui irlandese, Sonny italiano, Jimmy polacco.
1947, Brooklyn, Ellison Avenue, il Casement’s Bar, il negozio di dolciumi di Slovacki, la panetteria, la bottega di Mister G.
E i teppisti, Frankie e la sua gang dei Falchi, che terrorizzano il quartiere e dicono e fanno quello che tutti i teppisti dicono e fanno: sputano ignoranza odio e pregiudizio, picchiano e massacrano. Per comodo ulteriore, il capro espiatorio è lì. E’ lui, l’ebreo.
Non ci stanno Michael e la sua mamma. E anche altri, come i veterani, che sono stati in guerra, e in Europa hanno visto. Hanno visto e udito ancor peggio di quello che il cinegiornale del Venus proietta prima di ogni film: le immagini dell’orrore, della vergogna, del dolore, della bestialità dei campi di sterminio dei nazisti, l’urlo di bambini e vecchi, di donne, uomini e ragazzi.
Un mondo così, a Brooklyn, dove il ciclone della guerra è passato lontano, ma ha lasciato a terra il papà di Michael e tanti americani come lui (irlandesi, italiani, polacchi, cattolici, ebrei, negri d’America).
Un posto così, dove forse si potrebbe anche vivere con la speranza di un futuro, un futuro d’America, se non fosse per loro, che vanno a caccia, tendono agguati, imbrattano di svastiche e di scritte oscene i muri dei luoghi dove vogliono stanare la preda.
E una volta così, a Brooklyn, America, in Ellison Avenue, doppiato l’angolo di una portentosa nevicata, arrancando verso la Chiesa del Sacro Cuore, per andare a servir messa, una volta così, quella volta di fine d’anno 1946, Michael Devlin cattolico irlandese americano, lui, il chierichetto di Padre Heaney, divenne lo shabbes-goy di Rabbi Hirsh. La sinagoga di Kelly Street lo raggiunse come la promessa di un miracolo.
E miracolo fu.
Michael Devlin come Rabbi Loew, suscitatore del Golem. Se il ragazzino dice “Apriti Sesamo”, il mondo non ha più confini, il tempo rompe i suoi vincoli, l’immaginazione guida il desiderio e la sua realizzazione. E’ come uno spirito santo che discende. S’imparano le lingue. Io insegno a te l’inglese, Rabbi Hirsh di Praga; tu insegni a me, Michael Devlin, che so l’inglese e anche il latino della messa, l’yddish e l’ebraico dei tuoi libri sacri, e il greco, e l’aramaico di Gesù che non fu ucciso dagli ebrei come dicono in Ellison Avenue. Le lingue del mondo. Gli alfabeti di Dio.
Com’è piena di sogni avventurosi, meraviglie e tentazioni la vita quando si è ragazzi, cattolici irlandesi americani, e finalmente anche un po’ ebrei e un po’ negri. Quando si sa l’inglese e il latino della messa, e l’orizzonte che sembrava tutto lì, si rompe nel miracolo di altre lingue, altre fedi, altri mondi. Perché davvero pensi che nonostante Sonny, Jimmy, Capitan Marvel, e tutti i libri della biblioteca di Garibaldi Street, e i film del Venus, e le canzoni della radio e i Dodgers e Frankie Robinson, pensi che era pur sempre poca cosa la vita prima di quel passaggio alla sinagoga, quel sabato mattina, a fare da shabbes-goy al rabbino Hirsh.
Prima e dopo quell’incontro. Lo spartiacque. Perché varcata quella soglia, Michael Devlin spiccò il volo che ancora non gli era riuscito. Non per mancanza di talenti, quelli gli fiorivano fra le dita, ma in assenza di una guida, un padre, vero e spirituale. Ed ecco Rabbi Hirsh. E i libri, la musica, il baseball; l’esercizio delle lingue, dell’umorismo, dell’intelligenza, del piacere di sapere, pensando a un mondo senza pregiudizi, senza odio, senza guerre.
Viaggiare con la mente.
E basta dire un nome, dare due coordinate, ed ecco spalancarsi la storia. La storia in cui entri tu. Per esempio a Praga. Con Rabbi Loew, il Golem, il perfido Taddeo, l’imperatore Rodolfo. La Praga dei misteri della Kabbalà, degli alchimisti e dei miracoli. La Praga del ghetto, della giovinezza del rabbino Hirsch, di Leah, sua moglie, vittima; la Praga del dolore che impregna di sé le piccole stanze della sinagoga. E poi dilaga da Kelly Street a Ellison Avenue, ripetendo misfatti che si volevano allontanare.
Pete Hamill, l’autore di Neve in agosto, indica in Michael Devlin una vocazione salda dell’infanzia, che ha in sé, nella sua costituzione, la forza visionaria di cambiare il mondo. E attraverso la rappresentazione di questa potente Weltanschauung infantile, un qui e ora, reale e immaginario, fonda la sua “città ideale”. L’utopia di una realtà nuova, alla quale chiedono pari diritti di cittadinanza gli eroi del quotidiano e gli eroi del meraviglioso, uniti da un medesimo intento, un unico proposito. Sostenere la civiltà, i valori che ne sono a fondamento, allontanare la barbarie e il suo corollario di intolleranza e di morte. All’interno del vero miracolo costituito da questo romanzo.

(Recensione di Rosella Picech all' edizione Salani 2002).


Pete Hamill, Neve in agosto, traduzione di Marina Astrologo e Massimo Birattari, Salani, 2009, p.304, Euro 10,00
                                                                                              

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ALICE NEL PAESE DEI BAMBINI
ideazione, titoli e testi di Rosella Picech
realizzazione grafica di Lena Chiodaroli

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