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LA FOLLE BIBLIOTECA DI NONNA HULD di Thórarinn Leifsson, traduzione di Silvia Cosimini, illustrazioni dell’autore, Salani, 2015, 201 p., € 13,90
La notizia, la recensione, l'intervista

La notizia. L’autore e illustratore islandese Thórarinn Leifsson presenterà il suo libro (vincitore del più importante premio islandese per scrittori per ragazzi) e intratterrà i bambini delle scuole elementari, a Bookcity Milano, giovedì 22 ottobre 2015, dalle 9 alle 11.


La recensione.
Tempo imprecisato, un po' più in là di quando siamo adesso. Abitare, informarsi, imparare, lavorare, guadagnare, essere cittadini, nulla è più come prima, come era una volta "ai vecchi tempi". Anche la scuola (dove si insegnano solo calcoli all'infinito con gli "inculcatori" e si imparano cose utili solo per lavorare in banca), i  libri (soprattutto i libri, banditi perché nocivi), e il governo della città corrispondono a categorie note solo ai vecchi.
Tutto è ormai surclassato da un'era di tecnologia avanzatissima, violenta, autoritaria, indifferente all'uomo, che sembra emergere da una catastrofe di cui non si conosce l’origine. Eppure deve esserci stata. Perché se ne vedono ovunque le conseguenze.
Sovrana, in tanto disagio, domina la Banca Aurea, che ricatta e spadroneggia attraverso un suo implacabile emissario.

Frastornata, appena arrivata dalla sua casetta di campagna, nostalgica di un tempo che non conosce e che le narrano, Albertina, una bambina di undici anni, si aggira preoccupata in quella casa nuova che hanno imposto alla sua famiglia. La Gabbia Dorata si chiama quel palazzo in cui è costretta ad abitare e anche a esibirsi a una finestra, agghindata come “bambina felice”, per indurre gli spettatori di quella recita forzata ad acquistare appartamenti, sempre a incremento del profitto e a gloria dell’onnivora banca.

Ci sono molte cose incomprensibili: per esempio, Albertina non capisce perché suo fratello sia sparito, mamma è totalmente assorta nel suo lavoro e papà è come stordito da qualcosa che lo rode e vuol tacere alla sua bambina. Sospetta che tutto questo abbia a che fare con la banca e il suo persecutorio rappresentate. Entrambi, papà e bambina, per distrarsi (si fa per dire), s’affacciano spesso a un fast food che sta di fronte a casa loro, gestito da un vecchio ripugnante e frequentato dall’onnipresente esattore della banca, ancora lui. Tenete a mente questi riferimenti, e anche il successivo, si riveleranno indizi di un intrigo davvero planetario.
C’è un terzo luogo che fonda le matrici del racconto. L’Istituto Cimici, la scuola di questo universo strano in cui Albertina è capitata. E’ in quell’edificio disastrato, fatiscente, che la bambina incontra altri coetanei, ormai contagiati dall’aura malsana in cui è avvolta la città.
Ne è bersaglio immediato.
Peggio di così.

Ma un giorno, ritornando a casa, alla disperata ricerca, di stanza in stanza, dei genitori che non ci sono, Albertina fa un incontro strabiliante. Comodamente seduta in poltrona, sigaro in mano, una vecchia che più vecchia proprio non potrebbe. E’ Nonna Huld. Lei, Albertina, è la sua bis bis bis nipote. Una rivelazione scioccante. Ma tant’è. Nonna Huld non è sola ma in buona compagnia. Di libri. Un’intera biblioteca. C’è di tutto. Dizionari, enciclopedie, carte geografiche, romanzi, fumetti, albi illustrati per bambini anche molto piccoli, spartiti musicali… Figuratevi Albertina, che per leggere, e lo doveva fare di nascosto, pena i più temibili castighi, compulsava in gabinetto, seduta sul water, bugiardini di medicine e ingredienti di bagno schiuma e shampo!
Di più. Solo lei ignorava, povera sempliciotta di campagna, la leggenda che si sussurrava da sempre in città. Dell’esistenza della signora Huld, strega, capace di incantesimi, e della sua “folle” biblioteca.
Che Albertina sia imparentata con la leggendaria signora e abbia da quel giorno a che fare con la sua proibitissima biblioteca diventa motivo di rispetto e curiosità da parte dei compagni dell’Istituto Cimici. Che, numerosi, affluiscono alla Gabbia Dorata, subito stravolta da questa irruzione. Via gli schermi parlanti, via ogni avveniristica e sterile innovazione. Una casa di libri, foderata di libri, dal pavimento al soffitto, di tutti i generi, di tutti i colori. Una vita nuova per la casa e i suoi numerosi abitanti: la magnifica strega, sua nipote Albertina, i tanti bambini e ragazzi dell’innominabile Istituto Cimici. Da vittime degli “inculcatori” a felici lettori. Un miracolo, un incantesimo, che produce effetti prodigiosi. Un cambiamento radicale pronto persino a modificare del tutto quel mondo terribile e opprimente creato dalla banca aurea.

Che i libri abbiano una loro capacità salvifica è raccontato in molte storie. Ma la forza rivoluzionaria che si sprigiona nelle pagine di questo libro è davvero dirompente. Tanto da imprimere al racconto svolte impensabili, come quella di disancorare una casa, scioglierne gli ormeggi, salpare e prendere il largo dei cieli, per andare a cercare su un pianeta malvagio la causa prima del disastro causato dalla avidità di denaro, dallo scadere di ogni valore che non sia quello dell’ossessivo guadagno. Capitàno la nonna, gradi distribuiti fra la ciurma dei bambini, e via verso una meta che non finirà di produrre sorprese. Come quella di un antico amore trascorso poi nell’odio e ridiventato amore per amore della vita, fino al sacrificio della propria vita.

Grottesca ed esasperata la cifra che identifica il racconto, bene in vista fin dall’illustrazione, che la annuncia e la introduce ad ogni cambio di capitolo. Un espressionismo che deforma e altera la percezione a condurre il brivido di lettura. A tratti, come una consolazione, un giro di boa, impresso da un vento più leggero, fa deviare il romanzo verso altro genere, fantastico e surreale, giocoso nell’umore, per via dei bambini, lettori avventurosi e festanti. E’ solo una tregua. Il traino ha un suo orientamento, e punta deciso al registro che gli è più congeniale.


L'intervista. Abbiamo rivolto alcune domande a Thórarinn Leifsson, autore e illustratore islandese, ospite di Bookcity Milano 2015, dove ha incontrato bambini e ragazzi in occasione dell'uscita del suo libro La folle biblioteca di nonna Huld, edito in Italia da Salani. Ecco le sue risposte.

D. Il suo curriculum dice che lei è un autore e illustratore islandese, che ha conseguito una laurea presso la Icelandic Academy of Arts di Reykjavik nel 1989 e che ha lavorato per molti anni come illustratore e web designer prima del suo debutto letterario con Father’s Big Secret nel 2007. Come è nata in lei l’esigenza di raccontare anche per parole oltre che per immagini?
R. Per il mio tipo di formazione mi è venuto spontaneo. Avevo già scritto e illustrato alcune strisce di argomento politico, brevi sketch surrealistici per alcuni quotidiani. Mia moglie, una nota scrittrice islandese, mi ha spinto a scrivere sul serio. Le ci sono voluti due anni a convincermi a intraprendere questa professione. E quando ho scoperto questa nuova forma di espressione non ho più smesso.

D. Nella recensione al suo libro, che accompagnerà questo nostro colloquio, sottolineo la stretta parentela, che mi sembra di ravvisare, fra le sue illustrazioni e la sua scrittura, ipotizzando una qual certa matrice espressionista. Vuole rivelarci lei come stanno le cose?
R. Le mie radici artistiche risiedono soprattutto nell'Espressionismo tedesco e nella tecnica del chiaroscuro di Caravaggio. Quel lato oscuro tipico dell'Espressionismo barocco mi ha sempre affascinato.

D. Spunto, allegoria, metafora nel romanzo, la banca della crisi islandese degli anni scorsi, cui lei stesso, in altre circostanze, ha dichiarato di essersi ispirato. Sono inserimenti intenzionali, come quelli della banca, anche altri riferimenti alla realtà contemporanea, quali l’episodio dei due bambini imbottiti di esplosivo, pronti a sacrificarsi per fare saltare in aria il posto frequentato dai cattivi e la metafora di un pianeta nato dall’accumulo di discariche di rifiuti?

R. Il libro è stato scritto in un periodo che ha fatto da spartiacque in Islanda e si avvertiva molto la carica rivoluzionaria. Mia figlia, allora sedicenne, ne era pienamente coinvolta e si trovava in prima linea partecipando alle manifestazioni di piazza. Una volta venne perfino arrestata, ma non venne processata come accadde ad altri nove ragazzi. Si è parlato molto sui media di questo processo che si è trascinato per diversi anni con imputazioni molto pesanti. Sì, questi elementi che racconto nel libro sono lo specchio di quanto si viveva in Islanda nel 2008. 

D. Si dice che noi siamo quello che mangiamo. Lei non contraddice l’adagio, lo completa e dice: noi siamo quello che leggiamo. L’affermazione è esemplificata nel romanzo dai  bambini divoratori di libri, che diventano all’occorrenza come i personaggi dei libri che leggono.
Di quali libri si è nutrito lei che sono in qualche modo confluiti in questo libro? E qual è il motivo di questa convocazione?

R. Le combinazioni sono così tante che è difficile menzionarle tutte. Di sicuro ha avuto un forte impatto Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, ma anche i libri di Roald Dahl, soprattutto Matilde, e Momo di Michael Ende. Fin da piccolo la lettura mi ha affascinato e tutto ciò su cui potevo mettere le mani veniva da me letto con molta avidità. Mi appassionai anche alla storia degli Indiani d'America e cercai di scrivere usando il lessico inglese di quel secolo. Qualcuno ha trovato nel mio libro echi di Ray Bradbury, ma io non avevo mai letto Fahrenheit 451. Mi fece notare la somiglianza il mio traduttore danese anni dopo.

D. Mangiare. L’atto ricorre frequentemente nel suo libro, sia in senso reale che metaforico. Vi sono connessi più l’avidità e l’ingordigia che non il piacere e la convivialità. Questo atteggiamento investe tanto il comportamento della banca, come quello degli avventori della bettola e dell’insaziabile pianeta composto di rifiuti, non esclude neppure i bambini divoratori di libri. Non l’abbiamo ancora letto, qui in Italia, ma sappiamo che il suo primo libro, Father’s Big Secret, racconta di un padre pressoché cannibale.
Perché questo ricorrere?

R. Mi piace mangiare (ride). Si tratta di una metafora interessante. In questo libro c'è molta rabbia verso i banchieri in Islanda. Il motivo di questa ossessione è dovuto al periodo in cui il consumismo in Islanda ha raggiunto i massimi livelli.


D. Concludendo. Lei partecipa a questa iniziativa, Bookcity Milano. Pensa che manifestazioni come questa possano essere un vero incentivo alla lettura?

R. Da un lato sì perché motivano gli autori, li incoraggiano a incontrare i propri lettori e ciò li aiuta molto, li sostiene molto. Parlare di libri non può che fare bene. Anche a Milano dove ho incontrato molti bambini che avevano letto il mio libro e ne hanno realizzato uno creando le illustrazioni ispirate alla mia storia. E' stato un regalo particolarmente gradito, segno che hanno apprezzato il mio romanzo. Direi quindi che è un successo e che questi bambini sono stati motivati dal Festival. In altre occasioni mi è capitato che i Festival fossero veri e propri fiaschi. A Milano invece e a BookCity mi sono trovato molto bene.                      

(di Rosella Picech, Alicenelpaesedeibambini.it, Ottobre 2015)                 
 

   

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ALICE NEL PAESE DEI BAMBINI
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