L'
ALTRACITTA' E' OVUNQUE TU SIA
Non andate a cercarla. l’Altracittà è qui. Qui, dove siamo noi,
nella nostra città, nella vostra città, in ogni città del mondo.
Questo è il prologo di una “cantata” veritiera e triste che ricorre
a un canone tutto suo. L’intonazione indica “lontano” come un mantra
rassicurante, per chi vive “all’interno delle mura”; lo cita come
motivo ricorrente, per ricordare l’Esclusione - dalla vita felice,
dal luogo del privilegio, dalla mancanza dell’affanno per il cibo,
il vestito, il tetto- a chi vive “fuori delle mura”.
Una cantata che spalanca sei scene, con arie e recitativi, che si
alternano nel rappresentare i tempi che regolano la giornata dell’Altracittà
(Addormentarsi, Svegliarsi, Mangiare, Lavorare, Ritrovarsi in uno
spazio chiamato tempo libero, Curarsi e Festeggiare -perché oggi l’Altracittà
ha deciso di festeggiare).
In ciascuno dei tempi, ricorrono i gesti, le agitazioni, le
rassegnazioni, le disperazioni e persino le speranze degli abitanti
dell’Altracittà.
Gli abitanti dell’Altracittà hanno nomi, volti, emozioni,
comportamenti, raccontati nella pagina che, a volte, si dota di un
fermo immagine, per consentire a chi segue la storia dell’Altracittà
di guardare bene in faccia l’Altracittà.
Nell’Altracittà ci sono bambini, bambine, adolescenti maschi e
femmine, donne e uomini, vecchi e vecchie. Tutti seguiti con
trepidazione per quello che fanno, per quello che si accingono a
fare.
Per chi scrive, evidente il bisogno di catturare chi legge (venite
qui, guardate); chi legge, catturato da chi scrive, si
muove,
entra dentro quel raggiro poetico. E incontra Viorel, che bada ai
fratelli più piccoli (quando s’addormenta, quando si sveglia, quando
mangia, quando lavora -Viorel non lavora, perché è piccolo, ma vale
per gli altri-, quando si ritrova in uno spazio chiamato tempo
libero, quando si cura, quando festeggia); e lo stesso succede, per
ogni tempo evocato, a Ling, la cinesina, che vorrebbe fare la
fotografa, Jamila e Shana, che curano i loro lunghi capelli come
raccomanda la nonna lontana, Carlo Alberto “che ha la stessa
malattia del suo fidanzato mancato da un anno”, Salvatore, il nonno
di Peppino, che è stato partigiano, la famiglia di Mimma, così
numerosa, nonni figli nipoti, senza più corda che raccolga i loro
panni lavati, Pablo, così ingegnoso da essersi costruito la casa e
ogni altra cosa da sé, Pap che deve fare i turni per avere un letto
in cui dormire, Ivan che vive per strada e per scaldarsi beve la
birra e il vino che trova, Oscar che si è rovinato al gioco, Marisa
che trascina la sua casa in due sacchetti di plastica, Tamara che
per la droga non ha più famiglia né casa.
Possiamo conoscerli da vicino Viorel, Ling, Jamila e Shana, Carlo
Alberto, Salvatore, la famiglia di Mimma, Pablo, Pap, Oscar, Marisa
e Tamara, per via di quella ripartizione dei tempi, che ce li
ripropone sotto angolazioni diverse, al risveglio, al lavoro, alla
ricerca di un desco…. E, in più di una occasione, possiamo
addirittura coglierne le fattezze. Non perché Ling ha vinto alla
lotteria e s’è comprata la macchina fotografica che tanto desidera.
Ma perché la storia, oltre che di una cantatrice, dispone di un
pittore, che conferisce ai diseredati, in corso di lettura, una
magnificenza di forme e colori, quasi a risarcirli del grigio in cui
il destino li ha confinati. Disegni bellissimi, a tinte forti e
indovinate, che tralignano da una lezione ben assimilata dai maestri
del nostro Novecento, per ritagliarsi uno spazio autonomo e un po’
pop di grande effetto e di molta emozione.
Oggettivo e lirico, drammatico e struggente, un messaggio forte,
dichiarato con civiltà e chiarezza (ovunque tu sia, lì c’è “l’Altracittà”)
affidato a un libro magnifico, realizzato splendidamente.
(da
"Libri in rassegna" di Rosella Picech, "Bibloteche Oggi
/Sfoglialibro", Dicembre 2010)
Mia Lecomte, L’altracittà,
illustrazioni di Andrea Rivola, Sinnos, 2010, p.64, € 19,50
(Le immagini qui riprodotte si riferiscono al disegno di
copertina e a uno dei numerosi disegni delle pagine del volume).