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Da che parte stare. Contro
tutte le mafie
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Alberto Melis, Da che parte stare - I bambini che
diventarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, illustrazioni
di Paolo D'Altan, Piemme "Il Battello a vapore", 2012, 126 p., €
10,00
Falcone, Borsellino: 20 anni dopo. Dopo Capaci, dopo via D'Amelio.
Date. 23 maggio 1992, 19 Luglio 1992. Vent'anni giusti.
Chi non c'era, non sa. E,
non sapendo, rischia di non sapere Da che parte stare...
E' con questo titolo e con l'intento di "fare sapere" ai più piccoli,
perché sappiano "da che parte stare", che Alberto Melis scrive
il suo libro e, per dire di più dell'ufficialità della biografia,
intervista chi ai due giudici fu vicino, chi li vide crescere. Le
sorelle. Maria per Falcone, Rita per Borsellino.
Il racconto sui due giudici antimafia è preceduto da un capitolo di
informazione, per spiegare i fatti, dire ai bambini quello che è
successo vent'anni fa in Italia.
Melis lo fa con parola semplice e chiara, anche se piena chiarezza sui
misfatti della mafia, le sue ribalderie criminose, i suoi
assassinii, ancora non s'è fatta. E Melis lo dice,
seppure con semplificazione necessaria, visti i destinatari.
Dalla storia dell'Italia di quegli anni alla storia
personale dei due magistrati: Melis lo fa partendo
dall'infanzia, e rimanendo all'infanzia, agli anni della prima
formazione, fermandosi alle soglie dell'adolescenza.
Perché questa scelta? Rivolgendosi ai bambini - deve aver pensato
Melis - forse è più facile parlare loro di chi a loro somiglia. I
bambini s'appassionano alle storie di altri bambini, e lui, che fa
l'insegnante e con i bambini vive a contatto da tanti anni, li
istruisce, li educa, lo sa bene.
E così, dunque, procede.
Apre il "capitolo Falcone". Apre il "capitolo Borsellino".
Vite da bambini, accanto ma separate. Bambini a Palermo. Bambini alla Kalsa. Che
giocano a pallone per strada, attraversano la piazza del quartiere, forse si intravedono ma
si conosceranno più tardi, da grandi, nella professione.
La famiglia di provenienza di ciascuno di loro, borghese per
entrambi, affettuosamente ricostruita nell'intimità della casa, nei
caratteri di ogni componente, nell'influenza che ogni membro della
famiglia -allargata per Paolo anche ai nonni materni e a uno zio- ha
sui bambini.
Il temperamento di Giovanni è ardito, coraggioso; l'indole di
Paolo è generosa e attenta all'animo del prossimo. (Com'eri da
bambino? si dice che chiedesse, negli interrogatori, anche al più
efferato dei mafiosi).
Irruenti
entrambi, scatenati nei giochi -Giovanni anche negli sport- tutti e
due amano profondamente il mare. E leggono. Lettore forte il papà di
Giovanni, colta e lettrice la mamma di Paolo. Esempi in famiglia,
che inducono dimestichezza con la lettura. Fumetti e grandi
romanzi, anche precoci letture.
Scenari familiari si alternano a comportamenti scolastici. La
vita fuori delle mura domestiche, così rassicurante nella sua regolarità borghese, prende altre pieghe. Giovanni e Paolo, a
scuola, in piazza, vengono a contatto con un'altra realtà. Miseria,
povertà, aggravate dalla guerra e dal dopoguerra, diseguaglianze
sociali e spesso degrado, patiti da compagni meno fortunati,
colpiscono vivamente Giovanni e Paolo.
Le loro vite si "mescolano", riportando forti impressioni e
l'inclinazione a una sensibilità umana e sociale che contrassegnerà
la loro condotta futura.
Comunque, nessuna santificazione. "Ragazzi normali". Così
dicono le sorelle, così racconta Melis.
Tutta la storia che ci viene riferita è improntata a sottolineare la
normalità di due ragazzi. Marachelle, disobbedienze, anche
ribellioni, successi scolastici e imprese nobili. Come per ogni
bambino, ogni ragazzo.
E proprio così, crescendo nella normalità ma nell'imperativo,
coltivato in famiglia, di adempiere al proprio dovere, non
dimenticando la cura degli altri, che Giovanni e Paolo, diventano
"Falcone" e "Borsellino".
Da che parte stare è uno di quei casi felici in
cui la finalità dell'opera si stempera nella storia raccontata
e, così facendo, finisce per appassionare due volte chi legge,
con la probabilità di riuscire anche nel suo intento educativo e,
dunque, funzionando al meglio.
Andrea
Gentile, Volevo nascere vento - Storia di Rita che sfidò
la mafia con Paolo Borsellino, Mondadori, 2012, 156 p., € 14,00
Paolo Borsellino chiese anche a Rita Atria, quando la incontrò la
prima volta, com'era da bambina. Lei, bambina, un poco lo era
ancora. Aveva appena 17 anni.
Chi era Rita Atria lo racconta ai ragazzi Andrea Gentile. E lo
racconta, come dice lui stesso in prefazione, rispettando i fatti, i
documenti. Intervenendo però in quegli spazi che non potrebbero
essere riempiti. Gli spazi dei pensieri, dei sogni, dei desideri.
Dando corpo e voce a una ragazza, vittima indiretta della mafia,
cresciuta in un ambiente di mafia che, respirando aria e orgoglio di
mafia (com'era felice, da bambina, della riverenza che circondava
papà: "baciamo le mani" , "Vossia"), ebbe poi il coraggio di
sottrarsi alla mafia, di denunciare la mafia, con l'aiuto paterno di
Paolo Borsellino.
Rita non era mafiosa, non era "pentita", Rita aveva visto, sentito e
soprattutto vissuto "nella mafia". In fondo, la mafia era papà
(seppure "paciere"), era il fratello. Mafiosi uccisi da mafia. Le
guerre di mafia che insanguinarono la Sicilia dalla fine degli anni
Settanta ai primi anni Novanta del secolo scorso trovano eco nelle
pagine del libro. Come pure i caduti per la causa della giustizia e
della libertà: da Impastato a Pio La Torre, da Falcone a "giudici,
giornalisti, agenti di polizia. Si chiamavano .... ". (pag. 107).
Rita Atria è per la cronaca una "testimone di giustizia". La
definizione fu coniata da un decreto legge, riportato anche in una
pagina del libro. Ma questa "identità" arrivò troppo tardi, per
Rita, che non aveva più diritto alla propria identità. Aveva
seguito la cognata nella sua testimonianza, condannandosi a un
anonimato d'altra storia e d'altro nome. Noi non sappiamo come
l'avessero chiamata, per sottrarla alla vendetta della mafia.
Diciamo pure con le parole di Andrea Gentile che Rita voleva
"nascere fiore", "nascere luna", "nascere vento".
La storia di Rita Atria è raccontata con la cura che si ha per la
propria anima. Un'identificazione. Se si è poeti, se si ama la
poesia, si scrive con poesia. Vale per Rita, vale per Andrea.
Tutta la vita della ragazzina, siciliana di Partanna, si svolge in
una sorta di "romanzo di vita vera". Che attinge ispirazione da
pagine di diario (le sue, della ragazza) e le integra e le
interpreta. Interrogandola. Con delicatezza, con rispetto, con
pudore. Come faceva Paolo Borsellino. Seguendola. Assecondandola.
Educandola. Un vero socrate nell'esercizio della sua maieutica, per
fare intendere a Rita il maligno lavorare della mafia anche nelle
coscienze personali. E leggende, miti, messa in campo di metafore
calzanti per portarla a un più intimo convincimento della propria
scelta "da che parte stare".
A tratti, sembra quasi venirne fuori la storia normale di una
ragazza "normale", con aspirazioni normali, desideri normali:
l'amore con Gabriele (vero, nella storia vera) occupa molte pagine,
l'aspirazione a realizzarsi negli affetti, nello studio, nel lavoro,
anche. Ma no, però, che non è "normale" che una ragazzina debba
nascondersi agli altri e a se stessa, per proteggere la propria vita
e la propria normalità.
Perché la storia della vita troppo breve di Rita è una storia di
fuga. Da sé, dalla propria casa, dalla propria terra. Di città in
città, di casa in casa. Guardandosi alle spalle, cautelandosi negli
spostamenti, stando il più possibile al riparo. In fondo,
prigioniera.
Rita non ci sta del tutto al patto di tutela della sua propria vita.
E va. Esce per le strade, è curiosa della gente, è entusiasta delle
bellezze e del cielo di maggio di Roma. Roma per poco non le sembra
più l'esilio cui è confinata. Perché ogni sosta è una meraviglia. E
"quella volta" di Gabriele, l'inizio di una sperata felicità.
Ma a un certo punto, per sperare, per vivere, a Rita, non bastarono
più neanche Gabriele, la cognata e le nuove amiche. Dopo il 19
luglio 1993, con l'attentato di via D'Amelio e la perdita di Paolo
Borsellino, a Rita non bastò più nulla.
Una data sigilla la sua storia. 26 luglio 1992. Nello stesso anno di
Falcone, a pochi giorni dalla fine di Borsellino.
In appendice, una nota dell'autore, come in un articolo di cronaca,
dà conto, nella verità, della vita e della morte della ragazzina che
gli è stata cara per tutte le centocinquantasei pagine del suo
"romanzo".
Una sovraccoperta disegnata da Paolo D'Altan avvolge, in una bella
celebrazione, il libro che lo accoglie.
Il
mio sguardo libero. Volti per la legalità, a cura di
Stefano Fittipaldi, Fiorenza Stefani, Marinella Pomarici, Archivio
fotografico Parisio Napoli, A Voce Alta - Associazione Culturale
Onlus Napoli, 2012, 100 p., € 15
Sono molte le strade che portano a "Il mio sguardo libero.Volti
per la legalità", mostra itinerante di fotografie di Fiorenza
Stefani, documentata da un catalogo (stesso titolo, occhi di bambino
che ti guardano dalla copertina. Limpido, pulito, quello sguardo.
libero).
Napoli è il motore di questa storia. La Napoli delle associazioni,
della società civile, della gente di buona volontà.
Ed è la Onlus di Napoli "A Voce Alta", che prende questa iniziativa,
affiancata dall'Archivio Fotografico Parisio, associazione culturale
per il recupero, la tutela e la diffusione degli archivi fotografici
campani.
Da anni l'associazione "A Voce Alta" promuove cultura in
città, con iniziative che coinvolgono enti e istituzioni,
privilegiando la diffusione e la pratica della lettura a diversi
livelli ("anche come riflessione sulla nostra realtà" - dichiara la
presidente Marinella Pomarici), e tenendo in gran conto
l'infanzia, soprattutto nelle fasce sociali più svantaggiate.
Documentare la realtà, "la nostra realtà", dice Pomarici. Una
realtà, Napoli, fortemente connotata dall'illegalità. Una medaglia a
due facce. Chi delinque e chi vorrebbe riportare regole e legalità
nel vivere civile e, per questo, è disposto a testimoniare la
propria volontà, a "raccontarsi". A "metterci la faccia".
Nascono delle fotografie. Volti veri di gente vera che,
consegnandosi a una fotografia, dice da che parte sta. Con il suo
lavoro, il suo impegno, la sua vita.
Tante fotografie. Una mostra. A Napoli e altrove. A Genova, Roma,
Torino, Milano, Brescia, e in altre realtà, i molti allestimenti
della esposizione, concordata con enti vari e municipalità; ancora
una tappa, di cui ci giunge notizia, "Trame.2. il Festival dei libri
sulle mafie" a Lamezia Terme dal 20 al 24 giugno 2012
(http://www.tramefestival.it/)
Chi sono le persone che, attraverso le fotografie di Fiorenza
Stefani, hanno deciso di dire "la legalità sono anch'io"?
"Questi volti per la legalità - dice Gherardo Colombo, nella
prefazione del volume- sono la minima parte di quelli che ogni
giorno si impegnano sullo stesso sentiero: volti noti e non noti;
volti giovani e adulti; volti che hanno provato fino nel più
profondo l'offesa alla dignità propria o delle persone più care (un
genitore, un fratello, l'amico della vita) e volti che si sono
sentiti partecipi delle sofferenze e delle umiliazioni degli
sconosciuti. non sarebbe stato possibile fotografarli tutti: quelli
che appaiono sono anche l'immagine mediata di coloro che non ci
sono; rappresentano il simbolo di un percorso verso uno scopo
comune."
Alcuni dei nomi dei soggetti più noti fotografati: Roberto Saviano,
Rosaria Capacchione, Padre Alex Zanotelli, Benedetta Tobagi, Antonio
Ingroia, Don Luigi Ciotti.
La mostra fotografica è dedicata al giornalista Giuseppe D'Avanzo e
il progetto ha ricevuto dal Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, una medaglia di rappresentanza.
(di Rosella Picech, Alicenelpasedeibambini.it)