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                                                                                                                                     la risposta attraverso un libro

Caro Cappellaio Matto,

mi è stato chiesto in biblioteca un libro per un bambino di 3 anni che deve stare un lungo periodo senza sua mamma perché verrà ricoverata in isolamento. Il bambino ha già provato questa brutta esperienza per circa un mese e non vuole sentire parlare di ospedale, all'idea di allontanarsi di nuovo dalla madre.
Grazie per il prezioso aiuto.
Nada Minuzzi
Biblioteca Comune di Pocenia UD,  biblioteca.pocenia@mail.nauta.it

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E certo che quel bambino non ne vuol sapere di allontanarsi di nuovo da sua madre. Una volta è andata bene, mamma è tornata. Ma se adesso, questa volta, non tornasse più?
Stare con mamma, starle appiccicato, per controllare che non scappi, che non vada via. Perché la malattia rende ancora più pericolosa questa evenienza. La giustifica. Mamma non se ne va perché fai i capricci e sei cattivo, mamma se ne va a curarsi in ospedale. Ma intanto se ne va.
E se una volta andata via, non vedendo il suo bambino, si dimenticasse del suo bambino? Lui rimarrebbe solo.
E via di questo passo, con paure paurosissime, del buio, dell’abbandono.
Chi mi accudirà? chi mi vestirà? chi mi nutrirà? chi mi abbraccerà?
La prospettiva è solo questa, per un bambino di tre anni. Io senza mamma non ci voglio stare.
Ma come? mamma ha la bua, deve curarsi, devi lasciarla andare...
E così, adulti dabbene incentivano senza volerlo sensi di colpa in più, paure doppie e triple, incubi a non finire.
E la malattia? Se ne guarisce? e se non se ne guarisce, si muore? E se succedesse quello che è successo a quell’altra mamma, che s’è ammalata, è andata in ospedale e non è tornata più?
Che cosa suggerirle, cara Nada Minuzzi, bibliotecaria del Comune di Pocenia, Udine?

Penso che, per andare incontro a quel bambino, per offrirgli una ragione di ciò che sta capitando a lui per via di quello che capita a sua mamma, si possa fare una prova. Per esempio, questa. Ribaltare la situazione. Mettere il bambino al posto di sua madre. Fornirgli un appiglio di identificazione, per starle più vicino e anche per guardare oltre. Vedere con gli occhi di chi soffre, di chi deve andare in ospedale, a curarsi, a guarire per uscire, per tornare a casa.

Andare in ospedale, guardando dalla parte di un bambino, magari con l’aiuto di una fiaba, forse può fare un po’ capire come potrebbero essere le cose anche dalla parte di una mamma.
La fiaba c’è. E’ costruita con tanto riguardo, con molta attenzione. Perché ha mobilitato medici e psicologi, ha suscitato indagini fra i piccoli malati, e offerto il materiale raccolto e la consulenza scientifica a una brava scrittrice e a una brava illustratrice. Che a loro volta hanno messo tutto in un racconto, al fine di aiutare i bambini che vanno in ospedale. Vogliamo aggiungere una missione in più, la nostra, quella che abbiamo imbastito qui, ora, a questo libro, bello, provvido e saggio?
Proviamo.
C’era una volta... tanto tempo fa... ai tempi di castelli, cavalli e cavalieri (andiamo lontano, nel tempo e nei luoghi, cerchiamo la fiaba, valida per tutti i tempi e tutti i luoghi).
La guerra è finita, si apre la festa; ridono, cantano, ballano, brindano e mangiano dame e cavalieri, paggi e scudieri. Tutti? Sbirciando nella grande sala del castello e anche sugli spalti o giù in cortile (cercate anche nel disegno, fitto di personaggi, allegro di colori), guardando proprio bene, vedrete che Guy è solo e non è felice.
Guy,  il piccolo scudiero del grande cavaliere Hector, sta rannicchiato a terra, “ha un dolore forte che gli pesa sul cuore e a volte gli strappa il respiro”.
Il cavaliere Hector sa cosa si deve fare quando un suo piccolo scudiero “ha un dolore forte che gli pesa sul cuore e gli strappa il respiro”. Ferra dunque il  cavallo e monta in sella, prendendo Guy con sé per portarlo, in un lungo viaggio, a La casa con tante finestre.
Il racconto indugia nel rapporto fra grande cavaliere e piccolo scudiero. Dell’uno mette in evidenza la trepida attenzione, il gesto che rassicura; dell’altro, l’ansia, la paura di essere lasciato solo (starai con me? – certo che starò con te, non sei forse tu con me nella battaglia?).
Entrando nella “casa con tante finestre”, s’apre la parte più ardua del viaggio intrapreso. Facce nuove, gente sconosciuta, adulti inclini e rassicuranti però.
Hector è accanto a Guy. Sempre. Quando sono accolti dalla Dama Amabile, quando Guy si spoglia e si mette nel lettino, quando arriva Ser Ippolitus che “è bravo a scoprire dove si nascondono i mali”. Il male di Guy è come “una piccola pietra” e va tolta, dice Ser Ippolitus, e tutto andrà bene se Guy sarà coraggioso e forte come in battaglia. Perché questa è una battaglia.
Ogni contatto con la gente nuova della "casa con tante finestre" è registrato nel racconto con la precisione di ogni ingresso in ospedale, ma detto con parole diverse, vicine ai bambini, in grado di farsi comprendere da loro.
I gesti necessari dell’accoglienza, della visita, della diagnosi, della prognosi sono intesi a informare e coinvolgere e sono rispettosi, gentili, poetici.
Non è certo trascurata la risonanza emotiva del piccolo scudiero: di fronte alla prova (togliersi quella “pietra”), vengono in primo piano titubanza, paura, voglia di ripiegare sull’onnipotenza attribuita all’adulto vicino (“non puoi farmi star bene tu?”), che invece gli dice cosa può fare lui (tenergli compagnia, leggergli le storie, farlo giocare in attesa dell’evento tanto temuto), e cosa farà Ser Ippolitus, perché è solo lui che è capace di togliergli quel male.
Ciascuno dei passaggi dolorosi che portano “a guarire” è indagato con fine perspicacia, affrontato con immagini bellissime, seguito nelle fantasie (vere storie nella storia), che si rappresentano nel cuore e nella mente quando “si dorme” per non sentire male, mentre qualcuno (in questo caso, il bravo Ser Ippolitus) cerca  e toglie “la pietra dura” che fa così soffrire.
Non c’è alcuna fretta (va ribadito) di arrivare alla fine felice della storia, con il ritorno a casa. L’indugio in ogni fase della permanenza nella “casa con tante finestre” (definizione scaturita dalla vera voce di un bambino in ospedale) ha il sapore del tempo della verità. Che ha le sue scansioni, che non si possono eludere e si devono dire. Possibilmente come si dicono qui, in questo bel libro.

P.S. Al volume, di grande formato, illustrato a colori, è allegato un opuscolo per i genitori e gli operatori, intitolato "Le parole per dirlo - Come una fiaba può aiutare grandi e bambini a parlare dell'esperienza dell'ospedale".

Beatrice Masini, Donata Montanari, La casa con tante finestre, Carthusia, 2003, p.32, € 13,50



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