|
|
la risposta
attraverso un libro
Caro Cappellaio Matto,
mi
è stato chiesto in biblioteca un libro per un bambino di 3 anni che deve
stare un lungo periodo senza sua mamma perché verrà ricoverata in
isolamento. Il bambino ha già provato questa brutta esperienza per circa
un mese e non vuole sentire parlare di ospedale,
all'idea di allontanarsi
di nuovo dalla madre.
Grazie per il prezioso aiuto.
Nada Minuzzi
Biblioteca Comune di Pocenia UD, biblioteca.pocenia@mail.nauta.it
******
E certo che quel bambino non ne vuol sapere di allontanarsi di nuovo da
sua madre. Una volta è andata bene, mamma è tornata. Ma se adesso,
questa volta, non tornasse più?
Stare con mamma, starle appiccicato, per controllare che non scappi, che
non vada via. Perché la malattia rende ancora più pericolosa questa
evenienza. La giustifica. Mamma non se ne va perché fai i capricci e sei
cattivo, mamma se ne va a curarsi in ospedale. Ma intanto se ne va.
E se una volta andata via, non vedendo il suo bambino, si dimenticasse
del suo bambino? Lui rimarrebbe solo.
E via di questo passo, con paure paurosissime, del buio, dell’abbandono.
Chi mi accudirà? chi mi vestirà? chi mi nutrirà? chi mi abbraccerà?
La prospettiva è solo questa, per un bambino di tre anni. Io senza mamma
non ci voglio stare.
Ma come? mamma ha la bua, deve curarsi, devi lasciarla andare...
E così, adulti dabbene incentivano senza volerlo sensi di colpa in più,
paure doppie e triple, incubi a non finire.
E la malattia? Se ne guarisce? e se non se ne guarisce, si muore? E se
succedesse quello che è successo a quell’altra mamma, che s’è ammalata,
è andata in ospedale e non è tornata più?
Che cosa suggerirle, cara Nada Minuzzi, bibliotecaria del Comune di
Pocenia, Udine?
Penso che, per andare
incontro a quel bambino, per offrirgli una ragione di ciò che sta
capitando a lui per via di quello che capita a sua mamma, si possa fare
una prova. Per esempio, questa. Ribaltare la situazione. Mettere il
bambino al posto di sua madre. Fornirgli un appiglio di identificazione,
per starle più vicino e anche per guardare oltre. Vedere con gli occhi
di chi soffre, di chi deve andare in ospedale, a curarsi, a guarire per
uscire, per tornare a casa.
Andare in ospedale, guardando dalla parte di un bambino, magari con
l’aiuto di una fiaba, forse può fare un po’ capire come potrebbero
essere le cose anche dalla parte di una mamma.
La fiaba c’è. E’ costruita con tanto riguardo, con molta attenzione.
Perché ha mobilitato medici e psicologi, ha suscitato indagini fra i
piccoli malati, e offerto il materiale raccolto e la consulenza
scientifica a una brava scrittrice e a una brava illustratrice. Che a
loro volta hanno messo tutto in un racconto, al fine di aiutare i
bambini che vanno in ospedale. Vogliamo aggiungere una missione in più,
la nostra, quella che abbiamo imbastito qui, ora, a questo libro, bello,
provvido e saggio?
Proviamo.
C’era
una volta... tanto tempo fa... ai tempi di castelli, cavalli e cavalieri
(andiamo lontano, nel tempo e nei luoghi, cerchiamo la fiaba, valida per
tutti i tempi e tutti i luoghi).
La guerra è finita, si apre la festa; ridono, cantano, ballano, brindano
e mangiano dame e cavalieri, paggi e scudieri. Tutti? Sbirciando nella
grande sala del castello e anche sugli spalti o giù in cortile (cercate
anche nel disegno, fitto di personaggi, allegro di colori), guardando
proprio bene, vedrete che Guy è solo e non è felice.
Guy, il piccolo scudiero del grande cavaliere Hector, sta rannicchiato
a terra, “ha un dolore forte che gli pesa sul cuore e a volte gli
strappa il respiro”.
Il cavaliere Hector sa cosa si deve fare quando un suo piccolo scudiero
“ha un dolore forte che gli pesa sul cuore e gli strappa il respiro”.
Ferra dunque il cavallo e monta in sella, prendendo Guy con sé per
portarlo, in un lungo viaggio, a La casa con tante finestre.
Il racconto indugia nel rapporto fra grande cavaliere e piccolo
scudiero. Dell’uno mette in evidenza la trepida attenzione, il gesto che
rassicura; dell’altro, l’ansia, la paura di essere lasciato solo (starai
con me? – certo che starò con te, non sei forse tu con me nella
battaglia?).
Entrando nella “casa con tante finestre”, s’apre la parte più ardua del
viaggio intrapreso. Facce nuove, gente sconosciuta, adulti inclini e
rassicuranti però.
Hector è accanto a Guy. Sempre. Quando sono accolti dalla Dama Amabile,
quando Guy si spoglia e si mette nel lettino, quando arriva Ser
Ippolitus che “è bravo a scoprire dove si nascondono i mali”. Il male di
Guy è come “una piccola pietra” e va tolta, dice Ser Ippolitus, e tutto
andrà bene se Guy sarà coraggioso e forte come in battaglia. Perché
questa è una battaglia.
Ogni contatto con la gente nuova della "casa con tante finestre" è
registrato nel racconto con la precisione di ogni ingresso in ospedale,
ma detto con parole diverse, vicine ai bambini, in grado di farsi
comprendere da loro.
I gesti necessari dell’accoglienza, della visita, della diagnosi, della
prognosi sono intesi a informare e coinvolgere e sono rispettosi,
gentili, poetici.
Non è certo trascurata la risonanza emotiva del piccolo scudiero: di
fronte alla prova (togliersi quella “pietra”), vengono in primo piano
titubanza, paura, voglia di ripiegare sull’onnipotenza attribuita
all’adulto vicino (“non puoi farmi star bene tu?”), che invece gli dice
cosa può fare lui (tenergli compagnia, leggergli le storie, farlo
giocare in attesa dell’evento tanto temuto), e cosa farà Ser Ippolitus,
perché è solo lui che è capace di togliergli quel male.
Ciascuno dei passaggi dolorosi che portano “a guarire” è indagato con
fine perspicacia, affrontato con immagini bellissime, seguito nelle
fantasie (vere storie nella storia), che si rappresentano nel cuore e
nella mente quando “si dorme” per non sentire male, mentre qualcuno (in
questo caso, il bravo Ser Ippolitus) cerca e toglie “la pietra
dura” che fa così soffrire.
Non c’è alcuna fretta (va ribadito) di arrivare alla fine felice della
storia, con il ritorno a casa. L’indugio in ogni fase della permanenza
nella “casa con tante finestre” (definizione scaturita dalla vera voce
di un bambino in ospedale) ha il sapore del tempo della verità. Che ha
le sue scansioni, che non si possono eludere e si devono dire.
Possibilmente come si dicono qui, in questo bel libro.
P.S. Al volume, di grande formato, illustrato a colori, è allegato un
opuscolo per i genitori e gli operatori, intitolato "Le parole per dirlo
- Come una fiaba può aiutare grandi e bambini a parlare dell'esperienza
dell'ospedale".
Beatrice Masini, Donata Montanari, La casa con tante finestre,
Carthusia, 2003, p.32, € 13,50 |
|