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... per una bambina
che la vuole fare addosso
Ciao
Cappellaio Matto!
**************** Che cosa trattiene per sé il bambino? Che cosa sottrae allo sguardo indagatore dell’adulto? Quasi nulla.
Se mamma č al lavoro,
c’č sempre qualcun altro al posto suo, in casa, al nido, all’asilo, che
controlla e indaga ((hai mangiato? dormito? Pensi di non dover andare al
gabinetto? (democratico); adesso ti porto al gabinetto, perché č lė che
si deve fare la pipė e anche la cacca (autoritario). Sapevo di una bambina che la cacca la faceva in giro, in giro per la casa, un pezzetto qui, un pezzetto lė, solo cosė ci stava. Falla ti prego, supplicava la sua mamma, preoccupata di un ritardo, della sua salute, e lei, a suo capriccio, gliela concedeva, un pezzetto qua, un pezzetto lā, la mamma dietro, con paletta e segatura, rassegnata ( “purché la faccia!”).
Perché cara signora,
la cacca e la pipė per i bambini quando cominciano ad essere in
grado di controllarle, diventano veri e propri strumenti di potere.
Diventano doni e ricompense. Cosė come fanno i grandi con loro, loro
fanno: se fai la brava con me (tu mamma) io ti regalo la mia cacca, la
mia pipė, addirittura te le consegno nel luogo adatto (il vasino o il
water). Trovare uno sbocco a questa situazione, che sia soddisfacente
per bambino e mamma non č facile. Anche perché spesso, la regressione
(fare la pipė nel pannolino come succede alla sua bambina, quando
sarebbe in grado di farla in modo pių adeguato), forse nasconde proprio
una insicurezza: la paura di non farcela, cimentandosi. Occorre fare
un corso. Il signor Mo Willems, che č bravo e anche molto americano pensa che si debba imparare a fare la pipė andando al gabinetto di filato. Per fare questo, il signor Mo costruisce un modello di riferimento, congegnato come percorso di prove e di riprove, di parziali fallimenti e di trionfali riuscite. Per partire con il piede giusto, il signor Mo dice che bisogna dare retta alle proprie sensazioni (mi sento strano!), non ignorarle (non fa niente, passerā), invece proclamandole (mi scappa!), mettendo sull’avviso papā o mamma. E poi di corsa alla meta, senza indugi, senza distrazioni. Prova e riprova, quasi ci sei, farai meglio un’altra volta, oh no! Daccapo, vai, buon lavoro, mira bene, bel colpo, magnifico, super, urrā, evviva. Queste corroboranti incitazioni (stampigliate su adesivi da piazzare in un poster segnapunti) accompagnano il percorso del bambino al gabinetto, nel cimento di una prima autonomia. Nel senso di farla nel posto giusto, e nel senso di non farla come un regalo o un dispetto a mamma. Fare la pipė, per sé. Per sentirsi grandi, senza paura di sentirsi grandi. Per ottenere tutto questo, il volume del corso mette in atto un sacco di espedienti carini. Mobilita un contingente di topolini servizievoli, sempre pronti ad innalzare cartelli di suggerimenti e incoraggiamenti, sempre pronti a sostenere bambini e bambine (che come č noto la pipė la fanno in modo differente), battendo il tasto sulla prova e sulla riuscita della prova. Sulla soddisfazione di liberarsi della pipė, sul godimento del rituale che l’accompagna, sulle misure igieniche di completamento, sulla gioia di ritrovare dopo l’assenza per il disbrigo di quella faccenda, proprio ancora tutto al suo posto: l’orsacchiotto di pezza e il coniglietto di pelo in attesa al tavolino del tč, pronti ad accoglierti. Mo Willems, Corso di pipė per principianti, Mondadori, 2005, p.34 € 12,00 ISBN 88-04-54587-9 |
ALICE
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