Il
GGG. Il Grande Gigante Gentile. Dal libro di Roald Dahl
al film di
Steven Spielberg. Dal 30 dicembre nelle sale italiane.
Dahl
di giganti doveva intendersene. In Norvegia, suo paese d’origine,
l’altezza media degli uomini era di proporzioni notevoli.
Del resto
anche in famiglia non si scherzava.
Il nonno arrivava oltre i due
metri.
Lui stesso, fotografato, o ritratto nei disegni dell’amico
Quentin Blake, che costellano le pagine di tutti i suoi libri,
risultava alto alto, lungo lungo. Non quanto il terribile mister Coombes, il direttore della scuola della cattedrale dei suoi ricordi
infantili. E neppure come il GGG, nel quale, in fondo, proietta la
sua immagine di paladino dei bambini, pronto a tutto pur di
riscattarli dalla terribile tirannia degli adulti.
Fino al punto di
spingersi sulle soglie della reggia d’Inghilterra e convincere la
regina a dispiegare per intero tutta la sua potenza per salvare la
sua piccola amica Sofia e tutti gli altri bambini del mondo dalla
terribile ingordigia dei giganti suoi simili.
Mago, prestigiatore, illusionista, Dahl non ci ha messo molto a
indossare i panni del Grande Gigante Gentile.
Per differenziare il
suo personaggio dagli altri spaventosi giganti, ha ricercato nella
diversità il valore da attribuire alla sua fantastica creatura,
istituendo un parallelo con l’altro personaggio centrale della
storia. Sia il GGG che Sofia sono i diversi del mondo in cui si
muovono.
Solo, incompreso, vessato dai suoi consimili, il GGG è un
po’ meno gigante degli altri.
Orfana, spaventata, nella sua eterna camicina da notte, pronta a spiccare il volo dalla finestra come
un’altra Wendy, Sofia.
Un incontro non certo facile il loro. Ma
ricco di reciproco dono di amore e umanità e di splendide sorprese.
Un sogno a due, come padre e figlia che si ritrovano dopo essersi
tanto rincorsi nei reciproci sogni, che alla fine si avverano.
L’atmosfera del romanzo ha le tinte forti che attirano e spaventano
l’infanzia (i giganti come l’uomo nero, il babau in agguato ma
spaventosamente vero sulla pagina ) e al contempo la conducono nei
luoghi a lei più cari, il sogno, la fuga, l’amicizia, l’avventura in
mondi altri, coltivati con il guizzo dell’umorismo, dell’ironia, che
mitigano a volte un drammatico procedere.
La storia si trasferisce nel film di Spielberg, in programmazione
nelle sale italiane, nella sua interezza, ricalcando le pagine del
libro, regalando loro una spettacolarità formale, che poco aggiunge
al senso e alla parola favolosa di Dahl.
(di Rosella Picech, Alicenelpaesedeibambini.it, Gennaio 2017)